mercoledì 22 dicembre 2010

Un robot per ucciderti. Un robot per salvarti.

Titolo: A.R.E.S. Extinction Agenda

Sistema: Windows

Produttore: ORiGO Games

Sviluppatore: Extend Studio

Genere: Platform/Shooter

Uscita: 14 Dicembre 2010







L'uomo è il cancro di questo pianeta. Alla fine del ventunesimo secolo, lo sfruttamento scriteriato delle risorse naturali, lo sviluppo industriale irrazionale e l'espansione urbana arbitraria, hanno condotto la terra sull'orlo del collasso. Un gruppo internazionale di scienziati, chiamato United Earth (UE), è stato istituito con lo scopo di evitare la catastrofe. Il progetto più importante dell'UE è il cosiddetto Deep Space Reprocessing (DSR), guidato dalla dottoressa Julia Carson: consiste in una stazione spaziale verso la quale destinare i rifiuti nocivi da convertire in materiale organico con cui risanare il pianeta. Dopo innumerevoli prove e prototipi, il modello finale è finalmente lanciato in orbita in un gruppo di satelliti chiamato, non a caso, la sezione rifiuti (Junk Sector). Col passare degli anni, la stazione si è dimostrata una soluzione vincente: le condizioni della terra vanno gradualmente migliorando; si direbbe il rischio di estinzione per la razza umana sia scongiurato. Ma un bel giorno, la sopravvivenza dell'uomo sembra di nuovo gravemente minacciata. Una struttura cristallina si avvicina allo Junk Sector a velocità spaventosa. È tardi per tentare una manovra evasiva, tutti si preparano al peggio. Il corpo non identificato colpisce la stazione e rilascia una gas fosforescente; dopo qualche istante, le comunicazioni con la terra sono interrotte. Oltre a condurre il progetto del centro di riciclaggio orbitante, Julia Carson è a capo dello Special Astronaut Squadron (SAS); si reca perciò di persona sul luogo dell'incidente, per rilevare l'entità del disastro. Il danno sembra per lo più di natura estetica; tuttavia, la dottoressa scopre che un robot operaio ha attaccato e ferito gravemente un membro dello staff presente nella stazione. L'analisi del gas rivela una sostanza in grado di alterare il funzionamento dei robot: i ricercatori la battezzano Zytron. Per gli studiosi sembra impossibile trovare un "antidoto" per "curare" i robot: il meglio che riescono a fare è realizzare un materiale Zytron-resistente, con cui mettere in piedi un avanzatissimo robot-guerriero immune al "contagio": A.R.E.S. Il gioco inizia con il suo ingresso in azione nella stazione orbitante; la sua missione prioritaria è quella di individuare e portare in salvo gli ostaggi umani bloccati nella struttura.



Gli effetti di luce sono a dir poco spettacolari.


Come si può appurare dalla descrizione di cui sopra, per essere un "semplice" platform/shooter, A.R.E.S. ha un background narrativo piuttosto articolato. La "trama" si sviluppa nel gioco grazie a schermate essenzialmente statiche, dal taglio chiaramente anime, che trasudano calore umano attraverso il tratto emotivo del disegno e della colorazione a mano libera. La qualità delle composizioni è tale da non far rimpiangere l'assenza delle animazioni. Anzi, la natura per lo più fissa delle cutscene arricchisce ulteriormente la personalità, già estremamente marcata, del gioco. Ovviamente, non è in virtù di un intreccio particolarmente elaborato che A.R.E.S. si è aggiudicato, lo scorso maggio, il prestigioso secondo posto nel contest Microsoft Dream.Build.Play del 2010. Riteniamo più probabile che la giuria sia rimasta irretita in primo luogo dallo stile grafico incantevole e dalla oliatissima struttura interattiva. Da allora, il gioco si è fatto lungamente attendere, e sebbene gli sviluppatori spacciassero per prossima l'uscita, ci sono voluti circa 7 mesi per poter finalmente apprezzare il loro lavoro. A giudicare da quanto lasciato trapelare dagli stessi autori, il gioco era pronto già da un pezzo; solo, non è stato semplice accordarsi con un publisher per consentire finalmente la pubblicazione. La natura travagliata della sua immissione nel mercato ha riflessi nella struttura del gioco. Per quanto la realizzazione sia eccellente, A.R.E.S. è brevissimo. Troppo breve perfino per essere soltanto il primo episodio di cinque. E la sua natura episodica, annunciata molto prima dell'uscita del gioco, oggi non mi sembra ribadita con molta convinzione: non leggo riferimenti del tutto precisi al riguardo sul sito degli sviluppatori o negli store. Insomma, in una prospettiva catastrofica, A.R.E.S. dura un paio d'ore, e questo è quanto. Proprio quando inizi a prenderci gusto, molto gusto, esattamente nel momento in cui l'eccellente sistema di gioco comincia a decollare, a mostrare tutte le sue carte, a sbocciare in un fiore meraviglioso straripante di colori, il gioco finisce, lasciandoti con un palmo di naso.



Le collisioni sono un po' troppo severe, il che può creare qualche problema nelle sezioni più convulsamente platformiche.



A.R.E.S. è una struggente dichiarazione d'amore verso le principali saghe di platform-sparatutto dell'epoca 8/16 bit, Metroid in testa. Non soltanto relativamente al metodo di controllo, alle armi, all'estetica, ma soprattutto in merito al design dei livelli - il "backtracking", la progettazione di ampi stage da visitare più volte, per accedere, grazie all'acquisizione di nuove abilità, ad aree in un primo tempo inaccessibili. Per quanto riguarda le capacità del protagonista, egli può dapprima saltare, sparare, e scattare in scivolata. Presto impara anche a costruirsi i power-up. Il gioco - come abbiamo visto, fin dalla trama - è fondato sul concetto del riciclo: la creazione di oggetti utili a partire dai rifiuti. Le meccaniche sono dunque centrate sulla raccolta dei detriti rilasciati dai robot nemici uccisi. Accumulata la giusta quantità di ciascuna delle tre categorie di detriti, A.R.E.S. potrà creare un medikit, una granata comune o una ad impulsi elettromagnetici. Le granate costituiscono l'elemento forse più rilevante del summenzionato design metroidiano: molti passaggi sono infatti ostruiti da impedimenti da cui è possibile liberarsi soltanto attraverso la detonazione della bomba adeguata. Nelle fasi avanzate del gioco, inoltre, le granate possono essere usate come potente propulsore: tenendo premuto il relativo tasto, anziché causare l'immediata esplosione della bomba, si carica energia nella stessa, che una volta rilasciata, consente ad A.R.E.S. di eseguire un poderoso scatto in orizzontale oppure di fiondarsi verso il cielo. Il crafting permette anche il potenziamento delle armi: con l'appropriato numero di detriti, è possibile portare ciascuna arma ad un livello superiore. A proposito di artiglieria: si inizia con un cannoncino a proiettili energetici di megameniana memoria, ma avanzando nel gioco, soprattutto sconfiggendo i boss, si ottengono nuove armi, per un totale di 4: un cannoncino simile a quello di default, ma con una cadenza di tiro molto più elevata (consentendo combo più lunghe, è indicato per massimizzare il punteggio); un emettitore di onde, che non solo offre un'area d'azione assai vasta, ma consente di colpire i nemici attraverso le pareti; infine, un generatore di enormi globi di energia che esplodono all'impatto coi robot ostili, causando danni terrificanti. Far salire di livello un'arma richiede una grande quantità di detriti; l'economia del gioco acquista così una sfumatura tattica, relativa alla gestione razionale delle risorse: il crafting impone di meditare le proprie scelte, in maniera da migliorare il proprio equipaggiamento, cercando al contempo di conservare le risorse necessarie a creare gli item che le varie circostanze di gioco possono in futuro richiedere.






In conclusione, ribadiamo quanto A.R.E.S. sia implementato con maestria ed eleganza: risulta finanche possibile godersi il menare la protesi digitale per i livelli sparando ai nemici. Semplicemente, al di là degli obiettivi, senza puntare ad incrementare il punteggio o a superare il livello. Peccato l'inattesa prematura fine del gioco lasci con un amaro in bocca che, probabilmente, si riesce a comprende soltanto vivendo di prima mano l'esperienza in questione. Mi auguro insomma di sbagliarmi, e che a tale primo episodio, ne segua a breve un altro, fino alla regolare conclusione del titolo. Come si è potuto notare, nutro una spontanea diffidenza verso questi metodi frammentari di pubblicazione. La precarietà e la mutevolezza costitutive dello scenario indipendente rappresentano un ulteriore incentivo alla diffidenza. Natura episodica o meno, rimane a mio avviso la sensazione che nonostante la straordinaria fattura con cui è confezionato, i contenuti offerti da questo A.R.E.S. siano terribilmente risicati e deludenti sul piano della quantità. Ma mi rendo altresì conto che la percezione della lunghezza - e della brevità - di un gioco sia influenzata dal grado apprezzamento dello stesso. Insomma, ne voglio di più. E non mi basta mai.





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sabato 18 dicembre 2010

IREM Arcade Hits

Titolo: IREM Arcade Hits

Sistema: Windows

Produttore: DotEmu

Sviluppatore: DotEmu

Genere: Compilation

Uscita: 9 Dicembre 2010







Pixel-art post-apocalittica
Che ruolo ha avuto la Irem nello sviluppo del linguaggio videoludico? Grazie alla visione d'insieme concessa da questa compilation, emerge un'immagine molto "umana": quella di un'azienda dagli esiti creativi altalenanti, con momenti di ispirazione miracolosa, capaci di marchiare a fuoco la storia del medium (Kung-Fu Master, R-Type), affiancati a cadute rovinose, ovvero indecorosi tentativi di seguire i trend dominanti, scimmiottamenti poco convinti dei capolavori di altri colossi come CapCom e Sega (Superior Soldiers, Blade Masters). Tra i due estremi, spiccano titoli che sebbene non così innovativi o influenti, riescono a cogliere il meglio delle tendenze creative e di mercato in un dato periodo, rivelandosi godibili variazioni sul tema di specifiche formule ben consolidate (Gunforce II, In The Hunt, Mystic Riders,...).




Tra l'altro, provando questa raccolta, è impossibile non riconoscere uno stile grafico e "narrativo" che attraversa in varie forme tutti i giochi, un'impronta autoriale potremmo definirla, che nella metà degli anni 90 divenne estremamente popolare. Il successo di massa che mai li arrise veramente, i designer Irem lo ottennero sotto un'altra egida: nel 1994, una parte degli sviluppatori abbandonò le fila della moribonda azienda, esasperata dal mutismo creativo a cui era costretta, per fondare una propria società, la Nazca Corporation, acquisita da SNK nel 1996; il resto è storia.




Irem-core
I giochi Irem sono esperienze fulminee e dall'intensità fuori parametro. Non c'è spazio per fronzoli o divagazioni: tutto è quintessenziale, una sequenza di momenti ludici topici affastellati strettamente. Nessuna concessione all'inesperienza, nessuna carezza per il nuovo arrivato: imparare a giocare uno di questi titoli dimostra la spietatezza e l'implacabilità di un addestramento militare in tempo di guerra, esige una memorizzazione autistica di pattern nemici e struttura degli scenari, nonché la perfetta padronanza del sistema di controllo in ogni sua minima sfumatura. Anche i giochi dai ritmi più contenuti, dal "montaggio" più blando, che sembrano concedere una certa libertà al fruitore, in realtà, offrono soltanto un insieme di percorsi potenziali; ma per ciascun percorso, una volta reificato, valgono le meccaniche marziali sopra evidenziate. Non è dunque un caso la Irem goda di un seguito soprattutto presso i videogiocatori hardcore, ovvero gli amanti delle esperienze senza compromessi e dei livelli difficoltà spontaneamente proibitivi per le masse.




Salmoiremia
La qualità tecnica di questa riproposizione è assolutamente soddisfacente. Non ho notato nessunissimo glitch di natura audiovisiva, e il comparto tecnico appare replicato con estrema precisione e fedeltà, tanto che ipotizzo il motore alla base del tutto sia quello, ormai collaudatissimo e apprezzato all'unanimità, del M.A.M.E. Ci si potrebbe dunque chiedere perché non usare direttamente quest'ultimo per giocare gratuitamente gli stessi titoli. Dal mio punto di vista, ogni iniziativa antologica di questo genere va supportata. In primo luogo, bisogna rilevare come, rispetto ai - pur nobili - siti che distribuiscono le ROM consentendo all'emulazione di sopravvivere, DotEmu ci propone chiaramente qualcosa di diverso: una raccolta di giochi in veste ufficiale, ciascuno dotato di regolare licenza. Non oso immaginare il calvario burocratico che una simile operazione possa comportare, dunque gli autori meritano sicuramente un plauso; nonché un sostegno concreto, di natura economica, con l'auspicio simili iniziative vengano ripetute in futuro.




A sinistra, l'immagine di base. Al centro, l'applicazione del filtro HQ2X software, a destra del filtro HQ2X hardware.


La stessa immagine di sopra con HQ2X disattivato e scanline attivata. A sinistra, scanline 75%, al centro 50% a destra 25%.


Secondariamente, non tutti gli utenti sono disposti ad apprendere e mettere in pratica l'insieme di nozioni necessarie a far funzionare appropriatamente un emulatore; per l'utente PC medio sembra una sciocchezza, ma in una prospettiva generale, reputo plausibile esista una consistente percentuale di individui che non ha la voglia e/o il tempo di curare tale aspetto della fruizione. Per i videogiocatori più indaffarati, DotEmu ha pensato pertanto di semplificare al massimo interfaccia e opzioni, e l'utente deve preoccuparsi solo di installare la collection e avviare il gioco desiderato, sfogliando l'apposito menu-hub principale; eventualmente, una volta partito il gioco, con un numero davvero esiguo di passaggi, si possono variare i minimi - ma funzionali - settaggi previsti, che riguardano sostanzialmente la scelta di un filtro grafico (HQ2X software o hardware), le scanlines, fondamentali per replicare il feeling dello schermo a tubo catodico (con valori percentuali di 25, 50 e 75), il livello di difficoltà (già a Normale, la sfida è poderosa per chiunque), il numero di vite e altre immancabili impostazioni tecniche generiche, come il volume dell'audio e il full screen. Non è prevista nessuna possibilità di salvataggio della posizione, ma considerando la brevità delle opere Irem e l'origine arcade delle stesse, probabilmente, una simile feature sarebbe risultata del tutto superflua. È un peccato, invece, i giochi non memorizzino internamente gli high-score: di salvare i punteggi se ne occupa il software di DotEmu, e per visualizzarli bisogna pertanto accedere al menu esterno al gioco: decisamente poco "romantico". D'altro canto, in tal senso, si avverte la mancanza di classifiche online grazie alle quali confrontare i propri risultati con quelli raggiunti da altri appassionati in giro per il mondo.


I flyer originali sono una vera gioia per gli occhi.

I comandi sono pienamente customizzabili - ogni tasto mostra la descrizione della propria funzione - ed è nativamente supportato il controller Xbox 360. Personalmente, sono stato costretto a selezionare l'input via tastiera, e ripiegare su Xpadder, perché la non perfetta calibratura dello stick analogico sinistro del pad, era causa di una pressione costante della direzione sinistra. Certo, è un problema della mia periferica; tuttavia, bisogna sottolineare che in altri contesti, con lo stesso controller, non ho rilevato anomalie; non così gravi, quantomeno. Vista la natura shooter di gran parte dei titoli, si rivela assolutamente gradita l'aggiunta, nell'aggiornamento 1.1 della collection, della funzione autofire, che, però, talvolta può generare qualche inconveniente - in Image Fight, ad esempio, diventa problematico lanciare i pod contro i nemici, perché in origine l'input consiste nella pressione simultanea del tasto sparo più il tasto per variare la velocità della navetta.


L'hub per la selezione dei giochi


L'hub da cui selezionare il gioco è realizzato in maniera essenziale, però gradevole e funzionale. Ogni titolo vanta il flyer ufficiale, e dispone di una breve descrizione circa il proprio contenuto. Il menu in-game, alla voce "instructions", contiene un ulteriore testo illustrativo sul funzionamento del gioco; a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, esso però non espone meccaniche, obiettivi, o altri simili aspetti del piano interattivo; contiene, più che altro, riferimenti al frame narrativo del prodotto. Ma vediamo i singoli titoli nel dettaglio...


Il menu delle impostazioni


Air Duel
Uno shooter a scorrimento verticale di ispirazione piuttosto classica; siamo dalle parti di un 1942 cyberpunk, dove i prodigi della tecnologia futuristica si esprimono attraverso un design di matrice organica, para-biologica, uno stile reso celebre, seppur con una declinazione umoristica, da Metal Slug. La particolarità di questo Air Duel consiste nella possibilità, ad inizio livello, di scegliere il mezzo con cui affrontarlo: un aereo oppure un elicottero. Quest'ultimo scaglia un flusso lineare di proiettili, orientabile anche in diagonale. Spostando il velivolo avanti e indietro, il flusso viene ruotato in un senso oppure nell'altro. Un sistema non esattamente immediato, né particolarmente efficiente: tuttavia, bisogna riconoscere in esso una certa originalità, un tentativo di differenziare il gioco dalla miriade di shoot 'em up esistenti. Air Duel denuncia un certo know-how in merito al design dei livelli, architettati con cura e precisione, ma la gestione delle armi è piuttosto povera e approssimativa. Ciascun mezzo è dotato soltanto di un'arma, quella equipaggiata di default, potenziabile acquisendo appositi power-up. Per uno sparatutto del 1990, è un po' poco. Peraltro, perdere una vita comporta il ritorno al livello base dell'arma, e non è prevista alcuna agevolazione per riacquisire una potenza di fuoco decente in tempi ragionevoli: una penalizzazione eccessiva, che decurta drasticamente, fino quasi ad annullarle, le chance di procedere nel gioco in seguito ad un errore.




Battle Chopper
Forse più celebre col titolo originale giapponese, Mr. Heli, è uno shooter a scorrimento multidirezionale, à la Fantasy Zone: lo scrolling è controllato dall'utente, e il ritmo, relativamente contenuto, pertiene al platform/action più che allo shooter medio. Oltre che far fuori gli avversari, il game design implica una certa dose di esplorazione e pianificazione: un elemento cruciale delle meccaniche è la raccolta di cristalli intrappolati in specifici blocchi di terriccio presenti nello scenario, che bisogna polverizzare, liberando i preziosi, tramite le stesse armi che l'elicotterino protagonista del gioco usa per disfarsi delle entità ostili: laser che colpiscono in linea retta di fronte il mezzo, bombe scagliate verso il basso e missili lanciati in direzione della zona superiore dello stage. Il recupero dei minerali preziosi frutta al giocatore il denaro con cui "acquistare", toccando apposite caselle, i power-up del caso: potenziamenti offensivi, energia supplementare, etc. Il respawn dei nemici è ossessivo, e il primo impatto col gioco può essere traumatico; tuttavia, una volta inquadrate le dinamiche, si scopre un titolo ispirato e divertente, e si comprende il successo che Mr. Heli riscosse all'epoca della sua uscita, anche per via di ottimi adattamenti domestici, come la brillante versione per Commodore 64.




Blade Master
Blade Master
fonde la brutalità barbara di Golden Axe al bestiario e all'ambientazione fantasy di The King of Dragons. Il primo impatto col gioco può essere molto favorevole, ma le magagne saltano all'occhio dopo poco istanti di gioco. Inizialmente, la varietà di nemici e situazioni sembra soddisfacente; ma tempo qualche livello, e il design si impoverisce rovinosamente, franando nel riciclo più sfacciato. Inoltre, le dimensioni considerevoli - talvolta spropositate - degli sprite, unite alle abbondanti aree d'azione degli attacchi, conferiscono all'esperienza un tono goffo e tediosamente statico. Infine, si ha sempre la fastidiosa impressione che il rilevamento delle collisioni non sia del tutto preciso ed efficiente.








Cosmic Cop
Cosmic Cop è uno sparatutto a scorrimento (principalmente) orizzontale, non particolarmente originale, ma dalla personalità piuttosto spiccata. Il sistema di armi è composto da tre elementi, potenziabili mediante la raccolta di appositi globi: un attacco principale frontale, un attacco secondario (missili a ricerca automatica), e un attacco speciale (un fascio di raggi laser estremamente distruttivo, che si focalizza automaticamente sulle entità nemiche). L'impiego di quest'ultima arma è però vincolato ad una barra posta nella zona inferiore dello schermo: dopo qualche secondo di utilizzo continuato, il cannone laser si surriscalda e smette di funzionare; fortunatamente, la barra si autorigenera completamente in alcuni istanti. Il gameplay è dunque imperniato sull'elemento tattico derivante dall'uso oculato dell'attacco speciale. Il ritmo del gioco è estremamente frenetico; spesso un allarme ci avvisa dell'approssimarsi (fuori campo) di un pericolo; un avversario particolarmente coriaceo, ad esempio; oppure, semplicemente, un elemento dello scenario: considerata la velocità vertiginosa con cui si attraversano i livelli, anche un mero oggetto dell'ambientazione può costituire un serio pericolo per la nostra navicella.






Dragon Breed
Fondamentalmente, si tratta di uno shooter a scorrimento orizzontale. Tuttavia, si gioca in maniera assai peculiare. Anticipando una modalità rappresentativa cara a Sega nell'epoca Saturn, il protagonista vola a cavallo di un gigantesco drago. Ciò non ha una funzione soltanto coreografica, ma interessa anzitutto le meccaniche. Per avanzare nel gioco, è necessario imparare a sfruttare le capacità difensive della bestia mitologica; il suo corpo, pressoché indistruttibile, è in grado di arrestare gli attacchi, e al contatto con la sua dura pellaccia, i nemici hanno la peggio: bisogna perciò muoversi in maniera da sfruttare la forza di inerzia applicata al corpo del drago, mirando a disporre lo stesso in posizioni vantaggiose. Oltre a fungere da scudo, il leggendario animale è una devastante arma; dispone infatti di un attacco di base e di uno speciale - il quale va caricato tenendo premuto il tasto di sparo. La natura degli attacchi differisce in funzione del colore del power-up raccolto; quello rosso, ad esempio, fa sì il drago emetta una fiammata dalla bocca, che ferisce i nemici prossimi, mentre caricando l'attacco, viene scagliato frontalmente un potente globo energetico che attraversa l'intero stage.






Gunforce
Uno sparatutto/platform tra Contra e Rolling Thunder, con una spiccata propensione per la guida dei veicoli: ce ne sono di svariati tipi, dai carri-armati, agli elicotteri, fino alle motociclette e ai gommoni. La pistola che il protagonista ha in dotazione di default è davvero inadeguata a fronteggiare le avversità; per fortuna, all'interno delle casse disseminate per i livelli, è possibile racimolare armi ben più efficaci, nonché le munizioni per le stesse. L'armamentario è abbastanza vasto e variegato: si va dal mitra automatico, al lanciafiamme, al lanciamissili. Il gioco è estremamente difficile e breve, e seppur piuttosto divertente, si ha l'impressione costituisca più che altro una bozza delle idee che verranno applicate, in maniera più consapevole, appropriata e diffusa, nel sequel effettivo, Gunforce 2, nonché nel seguito spirituale, quel Metal Slug che tutti benissimo conosciamo.




Gunforce 2
Questo sequel accoglie le intuizioni - a tratti brillanti - del predecessore, conferendo alle stesse una forma più compiuta e convincente; grazie a notevoli dosi di fantasia e ad una rimarchevole proprietà linguistica, gli sviluppatori hanno reso un gran gioco quello che in origine era un titolo tutt'al più discreto. Gunforce 2 surclassa infatti il prequel da qualunque punto di vista. Anzitutto, in merito alla peculiarità del brand: i mezzi, ora più numerosi e decisamente più piacevoli da guidare, per via anche di un design dei livelli nettamente più raffinato. In secondo luogo, il ritmo di gioco: l'azione è qui decisamente più frenetica, guadagna molto in dinamismo, spettacolarità e coinvolgimento. Per non parlare del comparto audiovisivo: sembra di giocare su hardware differenti, tanto consistente è lo stacco tecnologico tra i due episodi. Il boss fighting brilla inoltre di luce propria, in virtù di un approccio decisamente più articolato e complesso rispetto al passato. Ma l'aspetto che forse più degli altri permette a questo gioco di prendere le distanze dal suo antenato, è l'attenzione accordata allo score making: i livelli sono disseminati di ghiotte tentazioni di accrescere il punteggio: medaglie, bonus e ostaggi, il cui recupero, immancabilmente, ci espone al fuoco nemico; tutto ciò ovviamente ricorda la serie di Metal Slug, anche se qui non si tratta di liberare arruffati capelloni maleodoranti, bensì procaci fanciulle in ghingheri. Nonostante l'eccellenza dimostrata su qualunque piano - per alcuni, perfino Metal Slug non raggiunge risultati paragonabili - Gunforce 2 è poco conosciuto, complice il momento infelice della sua uscita: fu uno degli ultimi titoli pubblicati da Irem, che di lì a poco avrebbe chiuso i battenti; probabilmente, non ci fu materialmente tempo di convertirlo per altri sistemi, e questa di DotEmu si fregia dello sventurato - per certi versi - primato di essere in assoluto la prima versione domestica del gioco. Senza dubbio, il principale motivo per accaparrarsi questa compilation.




Il protagonista imbraccia due armi alla volta (quella base più una speciale) e si ha un pieno controllo sulla rotazione delle stesse. Un sistema tanto versatile probabilmente resta a tutt'oggi ineguagliato.


Hammerin' Harry
È l'unico gioco di piattaforme vero e proprio del lotto, e lo si evince anche dallo stile audiovisivo, che tende a fare perno sulla personalità del personaggio - e non è un caso che a questo esordio seguirono una serie di episodi per il mercato casalingo, su piattaforme Nintendo a 8 e 16 bit, in un periodo in cui il platform andava per la maggiore. Il design di questo titolo è abbastanza canonico: l'economia di gioco non insiste sulla precisione di salti, quanto piuttosto sull'abilità nel brandire un enorme martello, il quale costituisce l'unico modo a nostra disposizione per sbarazzarci dei nemici e proteggerci da eventuali oggetti pericolosi lanciatici contro. Come da tradizione Irem, sono previste tre modalità d'attacco: frontale, verso il basso (il martello pesta violentemente sul terreno, stordendo i nemici) e verso l'alto (Harry allunga l'attrezzo sopra la testa). In funzione del modo in cui viene utilizzato sugli oggetti (casse, transenne, etc.), il martello può fracassarli, oppure scagliarli contro i nemici, a mo' di proiettile. Saggiamente, gli sviluppatori hanno strutturato gli stage e gli scontri con i boss al fine di sfruttare, in maniera anche creativa, queste differenti possibilità. Per superare i livelli, oltre a memorizzare la posizione delle ostilità, è importante imparare la collocazione dei diversi power-up: il peperoncino aumenta la velocità con cui Harry si sposta e mena fendenti, il "pow" ingigantisce il martello, i pantaloni aumentano l'altezza dei salti, il caschetto permette di incassare un colpo senza causare danni al protagonista. Sul piano tecnico, Hammerin' Harry di difende bene, con sprite di dimensioni considerevoli, animati discretamente, mentre la resa dei fondali appare lodevole per dettaglio e colori. In conclusione, ci troviamo di fronte non certo ad un capolavoro, ma ad un titolo ispirato e divertente, che vale senza dubbio una prova.




Hammerin' Harry fa ampio uso delle routine di simulazione della fisica che costituiscono un altro tratto distintivo della produzione Irem. Il comportamento dei solidi sottoposti a forze è calcolato in tempo reale. Impressionante per l'epoca.


Image Fight
Questo Image Fight sembra stare lì, con un sorrisetto compiaciuto, a ricordarci, qualora ce ne fosse bisogno, quanto fossero disumanamente difficili i giochi di un tempo. Non gode della notorietà di R-Type, ma anche esso rappresenta un piccolo classico. E non senza ragione. I livelli sono progettati con cura e il sistema delle armi è uno dei più complessi e creativi che si sia mai visto in uno shooter. Due sono gli elementi che lo contraddistinguono (la terminologia la invento sul momento per chiarire le meccaniche). I pod e gli add-on. I pod sono dei piccoli cannoni satellite che, una volta raccolti, affiancano l'astronave principale, seguendone costantemente i movimenti. Se ne possono raccogliere tre al massimo, due laterali e uno posteriore. Ce ne sono di due tipi. Quelli rossi assecondano il movimento della navetta ruotando nel senso opposto: se la navetta si sposta a sinistra, i pod rossi ruotano verso destra, e viceversa; se la navetta procede in avanti, i pod si orientano alle spalle della stessa, mentre se si muove all'indietro, essi si volgono verso il margine superiore dello schermo. I pod blu, invece, sono fissi, e sparano soltanto frontalmente (ovvero, verso l'alto). I vantaggi di ciascuna tipologia sono chiari: i pod rossi sono assai più versatili, hanno un campo d'azione nettamente più elevato e permettono di raggiungere nemici che gli sviluppatori si sono sadicamente premurati di ficcare in pertugi in nessun modo accessibili ai colpi frontali; quelli blu godono invece di una potenza impressionante, e il giocatore esperto riesce a ripulire avversari e stroncare boss senza dare loro quasi neanche il tempo di apparire sullo schermo. I pod possono inoltre essere tramutati in sfere energetiche e scagliati essi stessi a mo' di arma contro gli avversari; dopo il lancio, tornano lentamente in automatico verso la navetta del giocatore, un po' come avveniva, un anno prima, in R-Type.
Gli add-on, invece, si innestano sul "musetto" dell'astronave, e, oltre a sostituire il cannone principale, fungono da scudo, venendo però distrutti dopo il primo colpo ricevuto, o in seguito ad un urto contro gli scenari. Ogni add-on rappresenta un'arma differente: l'add-on giallo lancia sfere energetiche sulle due diagonali, l'add-on verde produce un flusso casuale di cerchi di energia che si espandono a cono davanti la navetta, l'add-on rosso emette frontalmente raggi laser estremamente potenti e concentrati, l'add-on blu genera una sorta di barriera energetica sferica di fronte il velivolo del giocatore, in grado di assorbire gran parte dei colpi nemici e di danneggiare seriamente gli avversari che vi vengano in contatto. Per cambiare l'add-on l'unica strada è distruggere quello in uso: solo laddove sprovvisti se ne può acquisire uno nuovo.






In The Hunt
Altro gioco abbastanza noto, soprattutto in virtù dell'ottimo adattamento per Saturn/PSX, del 1995, In The Hunt rappresenta per certi versi un'evoluzione della formula introdotta da Irem con Mr. Heli. Anche qui un ritmo ludico alquanto contenuto (ma non per questo sciatto), grazie ad uno scrolling controllato dal fruitore e ad un gameplay "democratico", che non impone un unico pattern, ma consente una certa libertà nel "ritagliarsi" il proprio percorso all'interno di uno stage piuttosto ampio, che offre un consistente margine di movimento. Peraltro, a differenza della maggioranza degli shooter, qui non si solcano i cieli o lo spazio a bordo di velivoli, ma si attraversano le profondità marine su di un mezzo subacqueo: dunque, il tono flemmatico dell'azione ha una giustificazione "diegetica". Ogni stage incorpora, in modo abbastanza evidente, almeno due macro-percorsi: uno più prossimo alla superficie, l'altro nei pressi del fondale; il primo costringe a reagire anche agli attacchi dei mezzi aerei, mentre nel secondo bisogna preoccuparsi esclusivamente delle ostilità sottomarine. Anche in questo titolo ricorrono le tre categorie d'attacco, frontale, in alto e in basso; considerando l'ampiezza degli stage e le dimensioni relativamente contenute degli sprite, forse mai come in questo caso è importante riuscire a padroneggiare perfettamente il sistema offensivo tripartito. L'assortimento dell'attrezzatura bellica è soddisfacente, ma una volta raccolta un'arma, non sono previsti potenziamenti. Alcuni criticano la lentezza dell'azione, ma non è detto che uno sparatutto debba essere frenetico per risultare divertente; e In The Hunt ne è la dimostrazione, in virtù di un design vario e ben orchestrato. Dal punto di vista estetico, ricorre in forma matura il classico stile Irem, post-apocalittico, metallico, rugginoso, ma dal tratto sinuoso e tondeggiante: da qui al gusto super-deformed di Metal Slug, il passo è davvero breve.




Kung-Fu Master
Questo titolo non richiede presentazioni, trattandosi di uno dei coin-op più celebri della storia. Diciamo solo che, com'è risaputo, rappresenta il punto di partenza dell'intero genere dei picchiaduro a scorrimento, in virtù di un sistema di combattimento il quale, sebbene oggi possa apparire legnoso e ripetitivo, nel 1984 offriva una complessità e una profondità senza precedenti: nessun gioco anteriore a Kung-Fu Master (se si eccettua Karate Champ, che però è un beat 'em up ad incontri) poteva vantare un battle system tanto sofisticato, con calci, pugni, distinzione tra colpi bassi e alti, prese e armi (queste ultime due caratteristiche, appannaggio degli avversari, però). Senza contare la notevole varietà di nemici e gli epici scontri con i boss di fine livello, ciascuno dotato della propria tecnica di lotta. Insomma, un vero prodigio di game design.






Legend of Hero Tonma
Tonma ha una ambientazione fantasy, con tanto di draghi e magie, sebbene virati ad una tinta oscura e marcia; prevedibile, da parte di Irem. È fondamentalmente un platform, ma sotto lo strato di piattaforme e salti, ribolle l'anima shooter; e anche questo, probabilmente, c'era da aspettarselo da Irem. Il piccolo maghetto protagonista del gioco combatte i cattivi scagliando sfere energetiche, generate per mezzo di incantesimi; raccogliendo appositi power-up, la sua "potenza di fuoco" cresce esponenzialmente, e l'attacco di base è arricchito tramite bombe e fiammelle che si dirigono automaticamente verso le ostilità. Sul piano tecnico, bisogna riconoscere che lo stile grafico è gradevole, gli sfondi a tratti molto suggestivi. Tuttavia, ad un'analisi più attenta, ci si rende conto quanto il tratto sia un po' semplicistico, la composizione leggermente piatta e smorta; gli sprite appaiono corposi, ma le animazioni arrancano, e la resa complessiva non convince del tutto, specie se consideriamo che quello stesso anno vedevano la luce colossi del calibro di Golden Axe e Strider. Il design degli stage non brilla per classe e perspicacia, e si avverte costantemente l'impressione la struttura soffra di approssimazione e goffaggine: sembra gli sviluppatori abbiano puntato a realizzare livelli brevissimi e stracolmi di nemici, anziché concentrarsi sull'oculata disposizione di ogni elemento ludico. Le cose peggiorano nelle sezioni a scorrimento verticale, dove ci si muove praticamente alla cieca, perdendo vite senza apparente ragione. Forse l'aspetto migliore del gioco è la colonna sonora, che vanta brani ricchi di pathos, pregni di fascino ancestrale.






Mystic Riders
Non avevo mai né visto né sentito parlare di questo titolo, l'ho conosciuto proprio grazie alla collection DotEmu, e, di primo acchito, mi è parso una sorta di versione "parodistica" di R-Type - nella misura in cui Pariodius è la parodia di Gradius - con un baby-stregone al posto della canonica navicella e uno stile grafico cartoon, fiabesco e "cazzuto" debitore di Three Wonders. Approfondendo l'analisi mi sono accorto esso si gioca più come un Cotton, per via dello scrolling multidirezionale, della struttura dei livelli, dei pattern di nemici e delle meccaniche in genere. Ma forse è più sensato sostenere si tratta di uno shoot 'em up che attinge a tutte le fonti fin qui citate, peraltro conservando netta una propria personalità. L'attacco base è di due tipi: fuoco o elettricità. Il primo è più concentrato e potente, la seconda più ampia e diffusa. Al di là dell'arma standard, il protagonista dispone di un "beam" in stile R-Type, ovvero un colpo da caricare tenendo premuto il tasto di sparo e riempendo così un'apposita barra. A differenza del classico shooter spaziale del 1987, in Mystic Riders il beam non è fisso, ma si può "upgradare", raccogliendo i rubini rilasciati dai nemici uccisi: collezionato un determinato numero di preziosi, il beam sale di livello, la barra si allunga e l'attacco diviene decisamente più devastante. Morendo si retrocede di un livello. Anche tale sistema è mutuato da Cotton, con la differenza che in quest'ultimo, il "beam" non è illimitato, ma bisogna raccogliere determinati power-up per poterlo scagliare. Ma non è tutto. Come in Cotton, il protagonista di Mystic Riders viaggia su di un bastone magico. A parte essere la scaturigine del sistema offensivo sopra descritto, il bastone riveste un ruolo simile al Force di R-Type. Il protagonista può lanciarlo lontano, in guisa di arma, oppure, rimanendo a cavallo dello stesso, compiere una fulminea rotazione a 360°, in grado di bloccare la maggior parte degli attacchi nemici, nonché di ferire gli avversari circostanti. Il contatto con gli elementi dello scenario, fortunatamente, non causa danni, ma anzi, sulle superfici piane il personaggio può scendere momentaneamente dal bastone, e mirare in qualunque angolazione, anche dietro di sé - mentre quando si è in volo i colpi sono orientati soltanto frontalmente. L'insieme di questi elementi dà vita ad un impianto ludico flessibile e dinamico, che, grazie anche ad una struttura dei livelli piuttosto articolata, mantiene sempre vivo l'interesse del giocatore. La grafica è coloratissima, e sebbene i frame di animazione non siano esattamente abbondanti, il risultato complessivo è decisamente apprezzabile anche su questo piano.






Ninja Spirit
Rappresenta il tentativo da parte di Irem di balzare sul carrozzone dei giochi con protagonista ninja che sul finire degli anni '80 costituiva un genere estremamente redditizio. Il risultato estetico e ludico risultò notevole, ma il riscontro del pubblico non fu mai massivo: Moonlight, il protagonista di questo titolo, non seppe minimamente impensierire la fama di Ryu Hayabusa (Tecmo, 1988) né tanto meno quella di Joe Musashi (Sega, 1987). Il giocatore può selezionare la propria arma, in qualunque momento, da un set di 4, che comprende: katana, shuriken, bombe e kusarigama (una sorta di piccone collegato ad una catena). Ogni arma può essere "upgradata" raccogliendo le gemme multicolore che si ottengono uccidendo uno specifico ninja avversario di colore giallo. I potenziamenti non riguardano soltanto l'arma: la gemma azzurra genera una copia del protagonista che ne replica esattamente ogni movimento e/o attacco sferrato, mentre la gemma gialla avvolge il personaggio controllato dal giocatore - e le sue eventuali copie - con una barriera di fuoco. L'insieme di questi elementi dà vita a delle meccaniche di notevole complessità, le quali, se da un lato assicurano una struttura ludica profonda e ricca, dall'altro, potrebbero aver sottratto al gioco Irem i favori del grande pubblico, probabilmente più a suo agio con l'immediatezza garantita da Shinobi o da Ninja Gaiden.






R-Type Leo
R-Type Leo costituisce il capitolo della serie più "atipico", essendo privo di quell'elemento che normalmente si associa al brand R-Type. Mi riferisco al cosiddetto Force, vale a dire l'enorme pod da agganciare, secondo l'esigenza del momento, sul retro o sul fronte della navetta, e che ha applicazioni sia difensive, sia offensive. In questo episodio intervengono soltanto i pod satellite, cioè due cannoni che orbitano attorno all'astronave del giocatore, proteggendola dai proiettili nemici. E non è tutto. Anche il celebre beam è stato tagliato fuori da questo sequel. In realtà, permane una barra al margine dello schermo, ma stavolta indica l'energia accumulata nei pod satellite: essi, infatti, come un tempo si faceva col Force, possono essere scagliati contro il nemico sotto forma di globi d'energia, e non si staccano dallo stesso fino allo svuotamento della summenzionata barra. Per il resto, il sistema delle armi è analogo a quello visto nei due prequel: sono previste tre diverse armi per il cannone principale, ciascuna dotata di un peculiare rapporto area d'azione/potenza e ognuna upgradabile di tre livelli. Per quanto riguarda gli altri due power-up che possono essere rinvenuti nei livelli, una lettera M e una lettera S, essi indicano rispettivamente, com'è consuetudine del genere shooter, i missili e la rapidità della navetta. L'impianto di gioco è soltanto apparentemente meno articolato rispetto al passato; appare più snello e lineare, ma sicuramente non meno avvincente e incisivo. Anzi, per certi versi, in virtù della sua immediatezza ed eleganza, forse è proprio questo l'episodio di R-Type che personalmente gradisco di più. Dunque, lungi da me lamentarmi nello scoprire che è stato inserito nella raccolta qui trattata. Solo, è strano che in una compilation commemorativa, l'IP Irem per eccellenza venga rappresentato dal suo episodio meno "classico". Direi è evidente DotEmu non è stata in grado di accaparrarsi i diritti per accludere i primi due esponenti della saga, oppure, semplicemente, le relative licenze si sono rivelate troppo costose, e avrebbero gravato eccessivamente sul prezzo complessivo della raccolta, che risulta estremamente (e intenzionalmente) basso per un'operazione di questo genere.




Superior Soldiers
Questo costituisce forse il momento meno entusiasmante della compilation. Un picchiaduro che si attiene rigorosamente al canone stabilito da Street Fighter II; peccato non riesca a replicarne la qualità neppure lontanamente. Non so da dove iniziare a elencare le magagne di Superior Soldiers. Le collisioni precarie, lo scrolling incerto, il ridicolo roster di personaggi, l'esasperante lentezza dell'azione, lo striminzito assortimento di mosse, l'audio gracchiante, la palette indecorosa, la generale mancanza di pulizia grafica,... c'è veramente l'imbarazzo della scelta. Si salva giusto qualche animazione - le sinuose movenze di Cattidox a tratti sbalordiscono per fluidità - e l'IA, non completamente da buttare.






Undercover Cops
Irem è ricordata in particolare per i suoi sparatutto, nonché per aver legittimato il picchiaduro a scorrimento col celebre Kung-Fu Master. Tuttavia, non si limitò a fondare questo genere, e tra uno shooter ed un altro, ebbe il tempo di cimentarsi ancora coi side-scrolling beat 'em up; e nel caso di Undercover Cops, con risultati per giunta interessanti. Non che in quanto a fama possa rivaleggiare con un Double Dragon o uno Street of Rage; ciononostante, Undercover Cops gode di un certo seguito per via di una qualità realizzativa di primissimo piano, specie rispetto ai tempi in cui vide la luce. Tra i tanti pregi, ciò che spicca è sicuramente il battle system, dotato di uno spessore notevolissimo: il numero di mosse e la dose di tattica richiesta dagli scontri, avevano ben pochi rivali all'epoca. L'avatar del giocatore può scattare in avanti e indietro, scattare colpendo, scattare e saltare colpendo per aprire la difesa dell'avversario, scattare e saltare colpendo per stendere l'avversario, e così via. Ogni combo può terminare con una presa e una proiezione; in funzione della direzione in cui si tiene lo stick durante la combo, il personaggio conclude la serie di colpi con una sorta di Piledriver (l'avversario viene schiacciato sul terreno in prossimità del luogo in cui la combo è iniziata) oppure con il lancio del nemico in lontananza. Ciò assume chiare implicazioni tattiche, specie in livelli in cui sono presenti dei burroni (cadendo nei quali, ovviamente, si muore). Un'altra particolarità del sistema di combattimento di Undercover Cops, è la possibilità, quando si è stesi, di rialzarsi travolgendo gli avversari nelle vicinanze. Adattando il gioco per il mercato occidentale, gli sviluppatori ebbero la brillante idea di semplificare radicalmente il battle system appena descritto. Tali modifiche, se da un lato ridussero la complessità del gameplay, dall'altro resero il gioco (ancora) più difficile - più frustrante, per essere esatti. Nella versione USA - e, dunque, in quella europea - anzitutto, le combo si concludono necessariamente con il lancio del nemico dietro il personaggio controllato dall'utente: è chiaro che rialzandosi, trovandosi alle spalle del giocatore, l'avversario acquista su di esso un notevole vantaggio. Inoltre, il calcio volante rappresenta l'unica mossa aerea permessa, e dopo lo scatto, non si può più saltare, ma solo attaccare direttamente. Manca anche il prezioso colpo che il personaggio poteva sferrare rialzandosi. La ragione di tali modifiche è uno dei misteri insoluti e irrisolvibili della storia dei videogiochi: il problema è che in questa compilation è stata inclusa proprio l'edizione occidentale, corrispondente alla conversione USA dell'epoca; tale scelta appare discutibile, specie se si pensa che oggi è reperibile perfino una versione con i testi tradotti in inglese, ma dal gameplay identico all'originale giapponese.






Vigilante
Vigilante sembra il tentativo di Irem di sfruttare il concept innovativo di Kung-Fu Master calandolo in un contesto urbano contemporaneo. Tuttavia, nonostante le aggiunte e la rielaborazione, non sono certo questo prodotto costituisca un reale progresso rispetto al titolo del 1984. Se una formula così statica e ridondante poteva avere senso nel 1984, 4 anni più tardi - il che significa, nel post Double Dragon - puzza di stantio lontano un miglio. E non mi spiego come questo gioco possa vantare così tante conversioni per il mercato casalingo - esiste praticamente un porting per qualunque sistema a 8 bit, nonché per Amiga, e l'unica versione decente, per giunta, come al solito, è quella PC Engine. Forse la radicalità del picchiaduro Taito ancora non era stata del tutto afferrata; ma anche assumendo questo punto di vista, non si può certo ignorare il fatto che ci troviamo a solo un anno di distanza da un altro peso massimo del genere in questione, quel Final Fight che nonostante il breve periodo che lo distanzia da Vigilante, ne sembra separato da secoli di storia. Ma del resto, sul piano tecnico e su quello interattivo, è esattamente così: il gioco CapCom e quello Irem appartengono chiaramente a epoche ben distinte; ed è ovvio ciò non rappresenti un punto a favore del secondo.