venerdì 26 febbraio 2010

The Thin Red Line

Titolo: Bionic Commando Rearmed

Sistema: Windows XP/Vista

Produttore: CapCom

Sviluppatore: Grin

Genere: Action

Anno: 2008






Fa piacere realizzare che giochi vecchio stampo fin nel midollo, oggi, stiano tornando in auge, che abbiano un seguito di utenti e un mercato.
Mi piace pensare, inoltre, che simili meccaniche avvincano non soltanto i nerd barbosi che all'epoca della sua uscita possedevano Bionic Commando per NES, ma anche i giocatori cool attuali, cresciuti a pane e shaders.
Fa riflettere, infine, che nel recuperare un vecchio brand, dei due figli, quello timido e dimesso sia anche quello più riuscito e godibile.
Insomma, CapCom ha deciso di sguainare un'antica gloria, ricavandone due prodotti, uno totalmente assoggettato ai dettami dell'action odierno, l'altro una (quasi) diretta trasposizione dell'originale titolo del 1988. Qui ci occupiamo proprio di quest'ultima.





La riproposizione convince appieno, dacché eseguita con gusto e competenza. La cura per i dettagli è tale che potremmo sostenere il lavoro sia stato condotto con amore. Grin dimostra di conoscere bene ciò che ha reso grande Bionic Commando sull'8 bit Nintendo, e ciò ha permesso loro di modificare la ricetta di partenza senza alterarne eccessivamente il sapore: gli ingredienti sono ancora freschi e gustosi, la mano che confeziona la pietanza è sapiente.


Benché capitino sotto forma di inconveniente durante gli spostamenti sulla mappa, le sezioni nello stile del primo Commando, con visuale a volo d'uccello, sono anch'esse un piacere da giocare.


L'allenamento nelle apposite stanze di simulazione virtuale, occupa un peso notevole nell'economia dell'opera. Oltre a rappresentare di per sé una sfida intrigante, invitando a migliorare sempre più i tempi della propria performance, il training è pressoché indispensabile per impratichirsi col sistema di controllo, e quindi, per proseguire nel gioco.


In alcuni momenti, Rearmed è capace di turbare, in un certo senso. La rappresentazione audiovisiva è conforme agli standard attuali - seppur perseguendo principi di funzionalità anziché di spettacolarità; tuttavia, come in filigrana, occasionalmente si intravede la presenza di Commando-padre. Ed è inquietante, quanto l'apparizione di un avo creduto morto da anni. Immagina ti apparisse una persona defunta, ma tu non ci fai subito caso e ti volti da un'altra parte; poi realizzi ciò che hai visto, e ti rigiri di scatto, con terrore, di riflesso; ma scopri che ti sei sbagliato, ora non vedi nulla di strano. Però permane in te il dubbio: e se l'avessi vista davvero? E se ti fosse apparsa solo per un fugace attimo e poi fosse scomparsa? Chi può dirlo? Probabilmente, non lo saprai mai. Almeno, se sarai fortunato.


I boss costituiscono una sfida di notevole spessore. Oltre alla velocità con la pistola, richiedono rapidità di pensiero, per individuare la strategia offensiva efficace, prima che il nostro eroe ci lasci le penne, sotto il continuo fuoco avversario.



Bucare i sistemi informatici dei nemici attraverso gli appositi terminali, intercettando le loro conversazioni e carpendo così preziose informazioni circa la nostra missione, rappresenta un gioco nel gioco, un rompicapo semplice ma efficace.

Ma cosa evoca tale sensazione? Un insieme di fattori. La violenta pixellizazione che subisce l'immagine dopo la morte del protagonista. La colonna sonora, dal retrogusto chiptune - un genere musicale del tutto in linea con l'estetica di questa opera -, occasionalmente vede esacerbarsi la bassa fedeltà sintetica che la caratterizza e gli spigoli delle onde quadre quasi ti graffiano i timpani. L'icona della vita, dal cromatismo saturo e oltremodo vibrante, e dai contorni blocchettosi, potentemente 80s, in lampante contrasto con la levigatezza grafica che vige intorno ad essa. Il font che compare sugli schermi dei terminali, contenuti nelle stanze disseminate per gli stage, è, si presume, il carattere standard impiegato dal NES. In sostanza, questo gioco produce un cortocircuito spazio-temporale. E quasi ci si aspetta che, come in Dynamite Headdy, lo sfondo scenografico debba collassare da un momento all'altro, e rivelare la reale natura delle cose. Quel magnifico cielo laggiù è soltanto una texture ad alta risoluzione appiccicata su un grosso poligono, e come un Truman Burbank videoludico, temi di scoprirne le maniglie che consentono di ridimensionarla e palesare il mondo vero dietro, la matrice.



La mappa (nella foto a destra) è uno degli elementi che rivela l'ossequio reverenziale, ma mai vigliacco, che informa la produzione in ogni suo aspetto.


Rearmed ha senso oggi? Rearmed è l'operazione nostalgica meno passatista in cui mi sia imbattuto finora. Dunque, la risposta è un vigoroso "sì". In ogni sua incarnazione, Bionic Commando sfoggia una tenuta platformica, ma non si gioca propriamente come tale. Infatti, non si salta da una piattaforma all'altra: la deambulazione passa attraverso il braccio meccanico estensibile di cui è dotata la protesi digitale, che gli consente di aggrapparsi alle piattaforme, per salirvi oppure per ondeggiare e lanciarsi oltre le fosse o gli impedimenti del caso, più o meno mortali. Anziché tentare un forse improbabile adattamento dell'arcade, il team deputato a condurre Bionic Commando nelle case degli utenti NES nel 1988, con una scelta felicissima, diede alla luce un gioco totalmente nuovo, che con l'originale aveva in comune essenzialmente la succitata abilità bionica del protagonista, e poco altro. L'esperienza su console è ben più distesa, diluita, ragionata, profonda e, a giudizio di chi scrive, appagante. Quantomeno, dimostra quanto gli sviluppatori ben conoscessero, e seppero sfruttare, in modo convincente e proficuo, limiti e punti di forza della fruizione domestica; nonché le potenzialità che, per lo più latenti, il coin-op già conteneva. Rispetto all'edizione per salagiochi, gli stage risultano molto più ampi e architettonicamente intricati: maggior peso è accordato al fattore esplorazione. Spesso l'avversario più temibile con cui confrontarsi è proprio il design del livello, la cui elaborata conformazione costringe il giocatore ad acquisire la massima dimestichezza con l'uso del braccio bionico. Inizialmente, l'elevata competenza richiesta al fruitore potrebbe scoraggiare e frustrare l'utente casual. Ma, fortunatamente, lo sforzo compiuto per assimilare la struttura di gioco e padroneggiare il metodo di controllo, paga. Presto, ci si stupisce di quanto si è diventati abili a fiondare il proprio avatar tra le piattaforme, sgattaiolando con grazia in mezzo alle articolate strutture ordite dagli sviluppatori. Rearmed riesce a riprodurre tutto questo: un'alitata, una lustratina con la manica della camicia, carichi il meccanismo e ti accorgi che il giocattolo funziona ancora benissimo. E ciò ti colma di infantile stupore. Plauso agli autori.







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martedì 23 febbraio 2010

Earthworm Jim 1 & 2: The Whole Can 'O Worms

Titolo: Earthworm Jim

Sistema: MS-DOS

Produttore: Activision

Sviluppatore: Shiny Entertainment

Genere: Post-Plaftorm

Anno: 1995



Titolo: Earthworm Jim 2

Sistema: MS-DOS

Produttore: Interplay

Sviluppatore: Shiny Entertainment

Genere: Post-Platform

Anno: 1996



Titolo: Earthworm Jim 1&2: The Whole Can 'O Worms

Sistema: Windows XP/Vista

Produttore: Funsoft, GOG

Sviluppatore: Shiny Entertainment, GOG

Genere: Post-Platform

Anno: 1996, 2009 (GOG)








Sono leggermente deluso dalle versioni DOS di Earthworm Jim e Earthworm Jim 2.
In entrambi i casi, ci troviamo di fronte a versioni "potenziate" della controparte Mega Drive; le migliorie consistono essenzialmente, e in maniera del tutto prevedibile, in una palette cromatica arricchita e una risoluzione più alta.
Non che ciò sia di per sé un male. Ma se si confrontano il primo capitolo DOS con l'edizione SNES e il secondo con la versione Saturn, ci si rende conto che tali incarnazioni console vantano sfondi più complessi e qualche dettaglio tecnico in più. Potrebbe trattarsi di una questione di diritti sul materiale iconografico; in quel caso, gli sviluppatori sarebbero scusati, altrimenti, non si spiegano le mancanze di cui soffre il processo di adattamento. Così come stanno le cose, le versioni migliori risiedono, appunto, su SNES (il primo capitolo) e su Saturn (il secondo).
Ciononostante, un appassionato del buon Jim come il sottoscritto, non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione di colmare una lacuna nella propria collezione ora che GOG ha acquisito i diritti e ci offre in bundle due dei massimi vertici che il genere piattaforme ha toccato attorno alla metà degli anni Novanta.




Oltre alle indubbie doti ludiche, a decretare il successo di Jim ha contribuito certamente il suo travolgente carisma, la demenzialità e il grottesco in stile moderno cartoon che lo caratterizzano, finanche nel genere musicale, soprattutto nel secondo episodio: Tommy Tallarico ivi attinge in maniera indisciplinata dalla più fervente tradizione popolare, nonché, con pari noncuranza, da celeberrime composizioni classiche.


Per i pochi che non conoscessero il vecchio Jim, i due titoli in questione sono platform 2D "evoluti": presentano elementi sparatutto, nonché meccaniche estremamente varie, tali che, al di là di alcuni elementi invarianti di base, ogni livello si gioca in maniera piuttosto peculiare e necessita un approccio a se stante; ciò è particolarmente evidente nel sequel, dove la componente platform è quasi accessoria. Per fare degli esempi. In Earthworm Jim, nel secondo stage, a bordo di una sorta di scooter spaziale, bisogna farsi strada tra le meteoriti vaganti, in un lungo tunnel di energia, mentre nel terzo livello, assicurata la testa ad una roccia, si combatte contro un alieno rimbalzando su e giù per un burrone, a mo' di bungee jumping. In Earthworm Jim 2, nel secondo stage, bisogna "scavarsi" il passaggio bersagliando l'ambiente con la pistola; il terreno colpito si sbriciola, crolla verso il basso per effetto della gravità, e ammucchiandosi, forma delle nuove piattaforme, indispensabili per proseguire (in realtà, questo stage, intitolato Lorenzo's Soil, per qualche insondabile ragione, è stato soppresso dalla versione DOS); nel quarto stage, invece, il malvagio Psy-Crow lancia cuccioli nel vuoto, e tocca a noi prevenirne lo schianto respingendoli mediante il materassino gommoso che stringiamo fra le braccia. Ciascun livello invita costantemente all'esplorazione e all'impiego delle doti acrobatiche di Jim, che può appendersi ad elementi sporgenti dello scenario: utilizzando la testa in guisa di liana, ci si lancia verso zone nascoste dello stage, solitamente colme di bonus.






Earthworm Jim è l'opera che diede lustro al suo creatore, David Perry, ed alla neonata Shiny Entertainment, la software house da lui fondata. A giudizio di alcuni, Perry è un game designer estremamente sopravvalutato. Non che i suoi giochi siano brutti. Almeno su sistemi a 16 bit, cose buone dal suo cilindro ne sono spuntate in numero significativo. Cool Spot, Aladdin, Global Gladiators sono titoli ispirati e divertenti, tecnicamente eccellenti. Però, secondo i detrattori, ciò non è abbastanza per giustificare l'alone di genialità e la fama di cui il coder irlandese è circondato. Effettivamente, nelle generazioni successive al Mega Drive, fatta eccezione per il primo capitolo di MDK (del secondo, strano ma vero, se ne occupò Bioware), Perry non è stato in grado di produrre niente di veramente incisivo. A partire dall'incerto episodio 3D di Earthworm Jim, passando per l'eternamente rimandato Messiah (vincente e rivoluzionario sulla carta, deludente all'atto pratico), fino ad approdare ai licenziosi tie-in di Matrix, la sua parabola creativa sembra essere abbondantemente sprofondata nel baratro del Superfluo e Dimenticabile. Ma a noi ci piace ricordarlo così. Groovy! Sperando torni presto a rockeggiare come un tempo.



In uno dei momenti più intensi del secondo episodio, Jim, in versione fetale, sforacchia i nemici all'interno di una suggestiva location, che somiglia all'apparato digerente di un essere vivente, tutto ciò sulle note della Sonata al chiaro di luna di Beethoven.


L'edizione GOG di questa raccolta, contiene un cospicuo numero di extra: gustosissimi artwork, schizzi preparatori per nemici e livelli, le due colonne sonore, wallpaper ad alta risoluzione, il manuale originale ed altro ancora.




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domenica 21 febbraio 2010

Nose wipe

Titolo: Wipeout 64
Sistema: Nintendo 64
Produttore: Midway
Sviluppatore: Psygnosis
Genere: Corse futuristiche
Anno: 1998






Wipeout 64 sembra molto più semplificato rispetto ai due episodi precedenti (sì, possiamo considerare questo il terzo capitolo della serie, seppure, a quanto pare, sia stato ripudiato dagli stessi sviluppatori: la terza iterazione pubblicata per PSX, infatti, si intitola, per l'appunto, Wipeout 3, o, più propriamente, Wip3out). Il sistema di controllo è, effettivamente, assai più indulgente che in passato: il margine di errore concesso nell'impostare le curve è qui decisamente maggiore. Tuttavia, approfondendo anche lievemente l'analisi del gioco, ci si rende conto che Wipeout 64 è perfino più ostico dei predecessori. O meglio, rispetto a quelli, la curva di apprendimento è meno equilibrata, meno rifinita. Mi spiego. Per raggiungere la prima posizione, fin dalle primissime gare, bisogna realizzare giri perfetti. Non semplicemente “perfect lap”, nell'accezione impiegata nel gioco (ossia, una prova esente da urti). Per agguantare l'oro, non impattare contro circuito o avversari è soltanto la prima delle condizioni: bisogna anche guidare in maniera impeccabile, gestendo magistralmente gli aereofreni, nonché memorizzando la posizione ed utilizzando tutte, ma proprio tutte, le pedane acceleratrici. Se tali condizioni sono legittime in prove avanzate, impiegarle fin dalla prima gara rende il tutto abbastanza frustrante. Ad ogni modo, giocando ai livelli di difficoltà più bassi, oppure in multi-player, qui finalmente implementato in split-screen, non si farà neppure caso a questi problemi.

Questo esponente della saga ha i suoi consistenti difetti strutturali, che lo pongono su un gradino più basso rispetto agli episodi usciti su PSX. Tuttavia, giocare a Wipeout resta sempre un'esperienza galvanizzante, specie nella modalità multi-player, a 4 giocatori, vera ragione d'essere di questa edizione.



Il difetto principale di questo Wipeout 64, però, risiede altrove. Gli avversari sono inspiegabilmente sempre carichi di armi. Missili a ricerca calorica, soprattutto. Ora. Evitare i missili in Wipeout 64 è divenuta un'operazione letteralmente impossibile: non si può più nemmeno gestire in maniera strategica l'uso degli scudi: il missile, una volta lanciato, continua a ronzare attorno alla navicella del giocatore, e esauritosi l'effetto dello scudo, inesorabilmente, la colpisce. Tradotto in soldoni: se giunge in prossimità dell'arrivo tra le prime posizioni, contro il giocatore si scatena l'inferno; per giunta, uno di quelli da cui se ne esce in rarissimi e del tutto fortuiti casi. Conquistare il primo posto, prescinde, in tal senso e in larga misura, dall'abilità del giocatore, diventando questione di mera fortuna. Nulla danneggia il gameplay più dell'aleatorietà, e il gioco diviene inviso al giocatore là dove, come in questo caso, non risponde attivamente e in maniera tangibile agli sforzi che questi compie per padroneggiarne le meccaniche.


Nonostante la patente somiglianza con Wipeout 2097, l'episodio per Nintendo 64 ha un sapore peculiare, per il quale non è fuori luogo considerare questo gioco l'effettivo terzo capitolo della serie.



Download from Game Tronik

sabato 20 febbraio 2010

SSF Ver. 0.11 Alpha R3

Grazie alle più recenti release di questo emulatore, la cui qualità ha decisamente staccato tutti i concorrenti, finalmente possiamo affermare che anche l'emulazione Saturn è degnamente coperta.



Certo, la fedeltà è lungi dall'essere perfetta - e forse nessun emulatore si può fregiare di tale attributo. Tuttavia, nel complesso, SSF è in grado di riprodurre in maniera piuttosto fedele un soddisfacente numero di giochi (per l'elenco delle compatibilità, riferirsi al seguente link: http://www.segasaturn.org/). I capolavori della console sono dignitosamente riprodotti, e gli occasionali bug, pur presenti, non minano eccessivamente la fruizione.




L'ultima release dell'emulatore richiede l'aggiornamento delle DirectX (altrimenti produce un messaggio d'errore all'avvio).

Uno strumento fondamentale per utilizzare SSF è una unità CD-ROM virtuale. Conviene pertanto munirsi del Deamon Tool del caso: http://www.daemon-tools.cc/ita/home.



Spesso il Daemon Tool ha problemi a caricare i file immagine dei giochi. In casi del genere, torna molto utile un programmino che ricostruisce la struttura del file immagine non funzionante, producendo un apposito file CUE da montare nell'unità virtuale Daemon: si tratta di Sega Cue Maker. E' importante notare inoltre come di solito si renda necessario trasformare nel formato WAV tutti i file audio associati al file immagine: in tal senso, si possono usare, a seconda del formato di partenza, Able MP3 per i file OGG e gli MP3, e Monkey's Audio per i file APE. Una volta trasformati tutti i file audio in WAV, si avvia Sega Cue Maker, si seleziona la cartella contenente ISO e WAV del gioco che ci interessa, si preme il bottone Generate Cue e poi quello Save Cue, scegliendo infine un nome qualunque per il file Cue di output.



Un'ultima accortezza da tenere a mente usando SSF: quando si cambiano i settaggi relativi alla nazionalità, selezionando l'appropriato BIOS, è sempre necessario riavviare completamente l'emulatore, altrimenti esso non riconoscerà l'immagine/disco. Per i file BIOS (come per qualunque altra cosa, del resto) il riferimento principale è l'inarrivabile Game Tronik.

Il sito ufficiale dell'emulatore è in giapponese, ma non è per nulla complicato individuare l'archivio contenente l'emulatore: http://www7a.biglobe.ne.jp/~phantasy/ssf/index.html.


Download from the Official site

venerdì 19 febbraio 2010

Hatful of Hollow

Titolo: The Void
Sistema: Windows
Produttore: Bit Composer
Sviluppatore: Ice-Pick Lodge
Genere: ?
Anno: 2009







Per essere "vuoto", il limbo a cui accede il videogiocatore dopo la morte è terribilmente denso di frenetica attività: bisogna darsi molto da fare affinché il colore, ossia la linfa vitale di questo luogo metafisico di transito chiamato Void, non si esaurisca, pena il trapasso assoluto, il game over. Non è un caso il titolo dell'opera in questione, in origine, era Tension.



All'interno di questo spazio, il colore è tutto. Esso si recupera anzitutto raccogliendo le esili piantine che spontaneamente si ergono dal grigiume del Void. Il colore è vita, come abbiamo detto - se termina, siamo spacciati per sempre. Il colore è deambulazione: per spostarsi da una location all'altra, bisogna segnare materialmente il percorso su una mappa bidimensionale. Il colore, inoltre, è la tintura con cui si disegnano i glifi. I glifi sono dei simboli che il giocatore è chiamato a tracciare direttamente col mouse, e sono alla base di ogni interazione coll'universo diegetico. Ad esempio. Attraverso il glifo α, si vivificano le piante - raccogliendone in futuro i frutti, si otterrà nuovo colore. Il glifo ν ci permette invece di estrarre il colore dalla roccia, ma può essere impiegato anche per attaccare i nemici. E così via. Il meccanismo del disegnare i simboli magici mediante il mouse s'era già visto in Arx Fatalis, ma qui assurge a tratto fondante della composizione, perno attorno al quale ruota l'intera esperienza ludica.




Osservando gli screenshot, pensavo The Void fosse un'esperienza prettamente visiva. Ero completamente fuori strada. The Void è primariamente un'esperienza interattiva. Perfino l'aspetto narrativo è totalmente piegato alla logica del gameplay. Nel senso che la storia non ci viene sbattuta in faccia gratuitamente come avviene in certi RPG. Non c'è traccia della pretenziosità che denunciano, altrove, molti frame narrativi. Qui ogni dettaglio appreso riguardo il mondo diegetico è in qualche modo funzionale (o almeno riconducibile) all'azione. All'azione oppure, forse sarebbe più corretto dire, all'esperienza complessiva, che gode di un equilibrio fra le sue componenti davvero inconsueto. Tanto che riesce difficile individuare singolarmente i vari aspetti del gioco: piano interattivo, visivo, narrativo, sonoro sono sapientemente fusi in un'unica forma stilistica che lascia intravedere straordinari sviluppi per il medium videoludico, nei termini di una maggiore specificità espressiva di questo linguaggio e una aumentata organicità nella sua valutazione.

La mappa da cui gestire gli spostamenti fra le location, tracciando materialmente il percorso mediante il colore.

In merito al game design, con foga, The Void rema controcorrente. E' all'antitesi della tendenza attuale dominante, secondo la quale le capacità del giocatore vanno umiliate, imboccandogli la soluzione ad ogni minimo ostacolo. The Void è un gioco astratto, per certi versi, ma anche estremamente concreto: come nella vita, non ci sono frecce a mostrarti la via; nessun highlight ti segnalerà incontrovertibilmente la cosa giusta da fare. Bisogna sperimentare, sbagliare, e subire sulla pelle le conseguenze delle proprie azioni, provando il sapore acre della sconfitta, ma anche deliziandosi col gusto dolce del successo.



The Void è una tavolozza complessa, difficile da descrivere degnamente. Un dipinto di fronte al quale le parole si prostrano, depongono le armi, accettando la propria vanità. Ampie campiture a tinta tenue, d'improvviso, sono violentate da truci pennellate rosso sangue, oppure da rabbiosi strappi della tela che denunciano il vuoto dietro, riflettendo il vacuo dentro cui si scolora, giorno per giorno, inesorabilmente, lo spirito umano che quella tela rimira.




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