domenica 30 settembre 2007

Sonic CD

Titolo: Sonic CD
Produttore: Sega
Sviluppatore: Sonic Team
Sistema: Mega CD
Genere: Platform
Anno: 1993








Se il primo Sonic rivestì un ruolo essenziale nel trainare le vendite del Mega Drive, così non fu per gli sfortunati add-on della piattaforma Sega. L'inappetibilità delle espansioni hardware in questione non c'entra: il punto è proprio la qualità dei giochi. Questo episodio di Sonic si presenta tirato a lucido grazie alla maggiore capienza del supporto, il cui impiego si traduce in un FMV iniziale in pieno stile cartoon, qualche livello in più, musiche ed effetti sonori di qualità red-book. Tutto qua. In termini prettamenti ludici, si tratta in fondo di uno scialbo more of the same. Graficamente è riscontrabile qualche miglioria in confronto all'esordio: un maggior numero di colori su schermo, sfondi più particolareggiati, dotati di parallasse, laddove nel primo capitolo della saga del porcospino, essi soffrivano di una certa piattezza.

Ma è sul piano interattivo che l'esperienza lascia un po' con l'amaro in bocca. Ok, è intrigante la trovata di giocare gli stessi stage in epoche differenti, in quanto a rappresentazione visiva e nemici, sfruttando gli appositi cartelli, tuttavia i livelli sembrano costituiti dagli scarti di progettazione del primo episodio, il game design non brilla per originalità ed ispirazione. Il primo scontro coll'immancabile Dr. Robotnik, è sufficiente ad instillare il dubbio nel giocatore: le idee in questo gioco latitano in maniera preoccupante. Tale sfida, difatti, non offre grosse difficoltà e non richiede un particolare approccio strategico: scivola semplicemente addosso. Come il resto del gameplay e della realizzazione complessiva, del resto. Da segnalare, l'anomalo - nel contesto della serie - bonus stage: in un ambiente tridimensionale, fra rimbalzanti da flipper e pedane acceleratrici, prima dello scadere del tempo concesso, bisogna disfarsi, saltandovi addosso, di tutte le navicelle aliene presenti nel livello. L'idea non sarebbe neppure malvagia, se non fosse che la precaria realizzazione tecnica [le capacità di scaling di cui l'hardware è dotato non riescono a competere col famoso mode7 del Super Nintendo] rende tutto piuttosto impreciso e frustante da giocare.



In definitiva, Sonic CD offre talune aggiunte e novità, beneficia della maggior capienza del supporto, ma il tutto è davvero troppo poco per costituire una proposta significativa che motivi l'impiego del nuovo hardware. Il primo di una serie - a quanto pare interminabile - di infelici sequel nella saga del porcospino blu, del quale Sega non sembra a tutt'oggi paga di infangare la memoria con realizzazioni mediocri, deficitarie in ispirazione e cura realizzativa.


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lunedì 24 settembre 2007

Chi trova un Treasure trova un Tesoro

Per aver reso il Mega Drive una fantastica macchina da gioco, subito dopo i team interni della Sega, bisogna ringraziare senz'altro gli sviluppatori della Treasure. Un gruppo di creativi, cresciuto nelle fila Konami, che si contraddistinse per l'atipicità delle sue produzioni. Oltre ad un comparto tecnico di caratura elevatissima, i giochi Treasure erano riconoscibili per via delle meccaniche di gioco spesso inusuali, che rimettevano in discussione i fondamenti del genere d'appartenenza. I Treasure realizzarono anche titoli banali dal punto di vista strutturale, e perfino giochi su licenza di dubbio valore. Ma se attorno a loro s'è generata un'aura di sviluppatori cult, è grazie alle prime produzioni per sistemi a 16 bit, in grado di spremere l'hardware su cui giravano a livelli impensabili, producendo esperienze ludiche assolutamente ineguagliabili [ed ineguagliate], ma che mai beneficiarono di vasto riscontro commerciale. Evidentemente, i loro giochi non erano per tutti; tuttavia, i [relativamente] pochi giocatori che ebbero la fortuna di imbattersi nelle opere folli di questi geni del codice, ne conservano con affetto un ricordo meraviglioso. Memorabili, in particolare, le fasi relative ai boss di fine|metà livello. Solitamente enormi - spesso occupano l'intero quadro, a volte ne travalicavano i limiti - gli sprite dei boss sono costruiti da forme geometriche che ruotano indipendentemente l'una dall'altra, conferendo a queste creature gigantesche movenze di una fluidità sbalorditiva [e in parte denunciando le origini degli sviluppatori, dacché soluzioni analoghe si riscontrano nelle produzioni Konami]. Tali fasi sono in sé piccoli capolavori di game design, e rappresentano il fulcro delle esperienze ludiche confezionate dalla Treasure: estremamente ricorrenti nel corso dei giochi, offrono una struttura ludica estremamente raffinata ed elegante, in cui l'unico modo per uscire vittoriosi è quello di studiare attentamente il pattern nemico e elaborare di conseguenza una tattica offensiva adeguata. In virtù della predilizione che all'epoca Treasure mostrava per la piattaforma Sega - preferenza non sottesa, per quanto se ne sappia, da alcun accordo ufficiale - il Mega Drive ebbe l'onore di fregiarsi di ben tre capolavori partoriti dal team di virtuosi visionari in questione. Vediamoli nel dettaglio.



Titolo: Gunstar Heroes
Produttore: Sega
Sviluppatore: Treasure
Sistema: Mega Drive
Genere: Platform | Sparatutto
Anno: 1993








La forza di Gunstar Heroes risiede nella frenesia. Ogni minima distrazione può costare molto cara al giocatore e la convulsa meccanica non concede quasi respiro. Si tratta del primo vero capolavoro di Treasure su Mega Drive, ed è il gioco che diede maggior notorietà al team di sviluppatori giapponese. Non a caso, fra i tre qui trattati, è l'unico gioco a godere di un seguito, pubblicato qualche anno fa per Gameboy Advance; mentre, come per gli altri titoli, l'edizione originale è disponibile per la Virtual Console di Wii.


La meccanica di gioco è fondata su un peculiare uso delle armi. Ce ne sono 4 disponibili: il laser, i triangoli energetici, la fiamma e le palle di fuoco. Il giocatore porta con sé due armi alla volta, che possono essere però sostituite raccogliendo le apposite icone che un robot a forma di volatile, presente in punti strategici dei livelli, elargisce quando viene colpito. Ciascun arma può essere usata singolarmente, ma gli effetti più devastanti si ottengono dall'integrazione di più armi, la quale si attiva premendo per due volte l'apposito pulsante di selezione. Ogni integrazione presenta a sua volta vantaggi e carenze: alcune difettano in gittata ma brillano in potenza e copertura dalle offensive nemiche, altre eccellono per quanto riguarda il raggio d'attacco, però lasciano il giocatore in balia delle minacce avversarie. Spetta all'utente scegliere, volta per volta, la combinazione più adeguata, in funzione del suo stile di combattimento e dell'entità della sfida che bisogna affrontare. Tendenzialmente, nella fase iniziale di ogni stage, sempre stracolma di nemici, conviene impiegare una combinazione che offra protezione e permetta di liberarsi facilmente degli aggressori più prossimi, mentre contro i boss, è pressoché indispensabile il fuoco ad ampio raggio, meglio ancora se provvisto di ricerca automatica.



La grafica è molto colorata, in pieno stile Treasure, tuttavia i toni sono un po' più stylish e contenuti rispetto alle altre opere. Mancano qui i virtuosismi tecnici presenti nelle produzioni successive, ma è difficile lamentarsi del comparto estetico, che fa il proprio dovere con stile ed efficienza inappuntabili. Notevole il numero di dettagli manifestato da oggetti e fondali, mentre il tripudio di sprite, esplosioni, laser e quant'altro che un motore grafico privo di incertezze muove contemporaneamente sullo schermo, è in grado di soddisfare pienamente le aspettative degli appassionati di shooter, i quali, com'è noto, su questo piano sono alquanto esigenti. Sul fronte audio, la colonna sonora, sebbene non incisiva e fantasiosa come in Dynamite Headdy, ha dalla sua temi assai azzeccati, capaci di accompagnare egregiamente l'azione blastatoria.



Pietra miliare del genere run 'n gun, come direbbero i più anglofoni, il qui presente Gunstar Heroes ha incontrato facilmente i favori del pubblico - sebbene mai di quello di massa - grazie ad una formula ludica solida, originale e di immediata fruizione, ed in virtù di una modalità cooperativa dannatamente coinvolgente: un'esperienza entusiasmante che sarebbe un vero peccato precludersi perfino a distanza di un così considerevole numero di anni trascorso dalla sua prima apparizione.


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Titolo: Dynamite Headdy
Produttore: Sega
Sviluppatore: Treasure
Sistema: Mega Drive
Genere: Platform
Anno: 1994








La forza di Dynamite Headdy risiede nella varietà. Tratto comune dell'intera produzione treausuriana, essa è qui che forse si esprime con maggior compimento, più pervasivamente, quasi programmaticamente. Ogni livello è un coacervo di idee intriganti, spesso impiegate per delle brevissime sezioni e poi del tutto abbandonate con la noncuranza che solo il vero genio può permettersi. Ciascuno stage presenta una struttura peculiare e richiede un approccio precipuo. Se le meccaniche sono mutevoli, ciò che nel corso dell'avventura rimane fondamentalmente immutato è il semplice sistema di controllo. Un primo tasto deputato al salto, un secondo pulsante per liberarsi del power-up acquisito, laddove lo si ritenga non utile o perfino dannoso, un terzo si usa per l'attacco, che Headdy, il burattino protagonista della vicenda, produce lanciando la sua testa. Headdy ha a disposizione un'ampia gamma di teste interscambiabili. Ognuna fornisce al nostro eroe dei poteri diversi. La testa speciale può esplodere pochi secondi dopo il lancio, eliminando - o almeno ferendo - tutte le forze nemiche presenti nei dintorni; oppure può rendere invisibili, o ancora può attivare una raffica automatica di proiettili, e così via. Il frame narrativo segue il consueto schema proprio della sceneggiatura classica: equilibrio iniziale -> situazione di disturbo -> ripristino dell'equilibro. Schema che il videogioco ha fatto proprio in maniera totalizzante, forse dacché esso riflette il processo alla base della meccanica del linguaggio videoludico stesso. Nella fattispecie, Dark Demon, un perfido pupazzo, ha invaso la terra dei burattini, catturando e schiavizzando quelli utili, sbarazzandosi senza complimenti degli altri. Il cattivo di turno ha commesso un grave errore gettando Headdy nel bidone. Sarà difatti lui l'eroe che metterà il bastone fra le ruote ai piani di conquista del malvagio usurpatore.


Platform certamente inusuale, in cui è impossibile distrarsi, fosse solo per un attimo - anche per via della difficoltà estremamente elevata - in Dynamite Headdy si ha sempre da imparare una nuova entusiasmante meccanica. In uno stage bisogna barcamenarsi fra piattaforme tridimensionali che si inclinano rispetto al centro lasciando scivolare il protagonista nel baratro, in un altro si rivestono i panni di un aeroplanino e il gioco si trasforma in uno stagionato shooter a scorrimento [Parodius è dietro l'angolo, per intenderci], in un altro ancora il margine inferiore del quadro "insegue" la protesi digitale, e ci si fa strada verso la cima del livello aggrappandosi agli appositi appigli di cui sono fornite le piattaforme e proiettandosi verso l'alto. Sul piano grafico e sonoro, i Treasure raggiunsero con questo titolo vette praticamente mai uguagliate sul 16 bit Sega, e forse solo il Sonic Team fu in grado di spremere l'hardware del Mega Drive fino a segnare simili traguardi tecnici.

Sprite di dimensioni colossali, colorati divinamente, si muovono per lo schermo con grazia e fluidità fuori parametro. Non brillano in quanto a dettagli, anche per via dell'essenzialità del generale stile estetico impiegato, tuttavia i fondali fanno ugualmente la loro bella figura, grazie alla qualità dei colori e ai numerosi strati parallittici che li caratterizzano. Menzione d'onore per la straordinaria definizione degli effetti sonori, e per i campionamenti vocali, mai così chiari e puliti su questa console. La colonna sonora è fra le migliori concepite per un videogioco, una delle mie preferite in assoluto. Gli autori, Kazuo Hanzawa, Jun Irie, Hideki Matsutake, hanno compiuto un lavoro davvero lodevole, sotto il profilo tecnico così come sotto quello squisitamente compositivo. I pezzi sono di notevole complessità, denotano gusto e know-how, sfoggiano timbriche affascinanti, veicolano melodie irresistibili e ritmi trascinanti.


Seppur all'epoca della sua uscita non godette del giusto riconoscimento, specie da parte dell'utenza, Dynamite Headdy è nel suo genere - se di genere si può parlare - quanto di meglio la console Sega ha da offrire, ciò nella improbabile ipotesi si malsopportino le avventure del porcospino blu di Sega; rappresenta altresì un esponente di punta dell'intero genere platformico, ritagliandosi meritatamente un posto nella storia accanto ai più grandi classici del settore.


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Titolo: Alien Soldiers
Produttore: Sega
Sviluppatore: Treasure
Sistema: Mega Drive
Genere: Azione | Sparatutto
Anno: 1995








La forza di Alien Soldier risiede nel boss-fighting. Un titolo hardcore-gamer fin nel midollo, porta alle estreme conseguenze i presupposti stilistici e strutturali a cui i Treasure ci hanno abituato. Nel bene e nel male. Che sia un gioco senza compromessi, lo si evince fin dalla schermata delle opzioni, in cui gli unici livelli di difficoltà settabili sono Super Hard [impostato di default] e... Super Easy. Quest'ultimo, peraltro, di facile ha ben poco, risultando solo lievemente meno ostico dell'altro livello, e comunque rappresentando una sfida di prim'ordine. La storia parla di un pianeta, A-Earth, minacciato da un gruppo terroristico, capeggiato da un certo Xi-Tiger e costituito da alieni parassiti in grado di controllare le macchine. A sventare i piani del malvagio tiranno, stavolta spetta ad un'acquila robotica ed antropomorfa, Epsilon-Eagle, che peraltro è il precedente leader di quel gruppo di terroristi. Non c'è alcuno sforzo da parte degli sviluppatori per chiarire la trama - di per sé abbastanza intricata - che finisce per risultare a dir poco oscura. Soltanto un lungo e tedioso testo che scorre nella scheletrica intro e qualche scialba schermata testuale nel corso dell'avventura. L'importanza del frame narrativo, del resto, è pressoché nulla considerato il genere in questione, pertanto la mancanza di una sua adeguata esplicazione non si fa sentire.

La schermata iniziale, nel suo baldanzoso, sensazionalistico, ma a dir poco comico, inglese maccheronico.

Il gioco è fondamentalmente uno shooter, che parte dalla struttura di Gunstar Heroes, elimina ogni fronzolo, e concentra l'intera esperienza attorno alla sfida contro i boss. I nemici intermedi, sebbene ben realizzati, assumono un peso pressoché nullo in merito alle meccaniche di gioco, ed è quasi come se non esistessero. Il character design di mostri e creature raggiunge livelli inconcepibili, e raramente, forse mai, sono comparsi in un gioco personaggi tanto ispirati e vari, realizzati con la cura e la fantasia qui elargite a piene mani.



Sul fronte tecnico, il lavoro svolto da Treasure è ancora una volta ineccepibile. La grafica è nitida, fluida, colorata; il motore di gioco potente, ben oliato, performante. L'audio è anch'esso notevole, sebbene qualche volta difetti in chiarezza, e i pezzi musicali lasciano un po' il tempo che trovano. Ammesso si riesca ad avere il tempo per ascoltarli: l'azione ludica di Alien Soldier richiede una tale concentrazione, che è pressoché impossibile prestare attenzione ad altri aspetti del gioco.



Ci troviamo di fronte alla quint'essenza dello spirito Treasure. Un concentrato di fine game design senza precedenti. Nel complesso, però, l'impressione è che gli sviluppatori siano andati perfino oltre il consentito nel focalizzare le proprie - numerose e brillanti, sia chiaro - idee. Il gioco tocca vertici di frenesia e difficoltà inauditi, mortificando ogni tentativo di approccio dell'utenza meno smaliziata. Ma forse l'opera è stata concepita proprio con questo intento; e in tal senso, Alien Soldier costituisce un progetto assolutamente e pienamente riuscito.


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Dracula X: Rondo Of Blood heavy metal remix

Si tratta di una versione speciale del mitico titolo per PC-Engine Super CD-ROM2. Pare che un giocatore si sia preso la briga di remixare le tracce audio del gioco, secondo stilemi heavy metal. Il risultato potrebbe essere tutt'altro che detestabile o fuori luogo. Del resto, l'atmosfera della OST originale, e del gioco stesso, ben si presta ad un'operazione di questo tipo, e non sono per nulla sorpreso dell'iniziativa. Qualche dubbio sulla qualità del lavoro sorge spontaneo, ma devo ancora ascoltarlo in maniera approfondita per giudicare con cognizione di causa. Il download del file richiede la registrazione gratuita sul sito.


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domenica 23 settembre 2007

Akumajou Dracula X - Chi no Rondo: prime impressioni

L'episodio migliore della leggendaria serie Konami, dopo Symphony Of The Night? Sì, molto probabilmente. Ricorrono qui molti dei tratti che troveranno compimento negli - stupendi - episodi per Gameboy Advance: creature nemiche, boss, musiche, atmosfere.

Menzione d'onore per i riarrangiamenti della colonna sonora. I pezzi, forti della qualità CD, posseggono ora una potenza evocativa davvero unica nel contesto della saga, che ha sempre brillato da questo punto di vista.



Note dolenti: la mobilità del protagonista, piuttosto limitata. Il personaggio controllato dal giocatore, Belmont, ha poche mosse ed è scarso il controllo dopo i salti, fattore snervante che accomuna tutti gli episodi di Castlevania usciti per sistemi a 8/16 bit. In questo capitolo - non ne sono sicuro, ma mi accerterò a breve - è possibile utilizzare altri due personaggi dopo averli sbloccati individuando la loro collocazione nei meandri del castello. Chissà che con questi nuovi protagonisti il gioco non migliori sul piano delle meccaniche di controllo. Da qualche parte ho letto che controllando il personaggio femminile, una bambina di nome Maria, il gioco diviene perfino troppo facile. Vedremo.

Maria, in tutta la sua grazia infantile. Chi mai potrebbe pensare si tratta del personaggio più devastante del gioco?

L'atmosfera del gioco è unica. Forse da questo punto di vista Rondo Of Blood rimane tuttora insuperato. Grandiosi gli sfondi, eccellentemente colorati, ricchi di dettagli e di strati parallittici, meravigliose le creature nemiche, superbamente animate e dal tratto favoloso. Il sonoro, grazie ai pezzi storici, come detto superbamente riarrangiati per l'occasione, contribuisce immensamente a determinare un'atmosfera cupa ed inquietante, ma al contempo davvero eccitante.

Rondo Of Blood ha i crismi del capolavoro assoluto. Nessuna ludoteca degna ti tale nome dovrebbe esserne sprovvista. Per una completa panoramica sul gioco, le pagine che gamespy.com vi dedica rappresentano senza dubbio una tappa obbligata: http://castlevania.classicgaming.gamespy.com/Games/rondo.html

Lezioni di Storia

Dacché il PC-Engine è un sistema ingiustamente ignorato - o perfino bistrattato - dalla maggioranza dei giocatori occidentali, forse può essere utile rinfrescare la memoria con un breve excursus della sua storia. Il testo che trovate di seguito è la traduzione dell'articolo presente sul sito PC-EngineFX.com, reperibile all'indirizzo:
http://www.pcenginefx.com/main/pcenginefx_com_-_what_are_nec_.html

Se non avete mai sentito parlare di TurboGrafx-16, PC-Engine o PC-FX, non c'è da soprendersi. Nel mondo in perpetua evoluzione del mercato consolistico, i sistemi vanno e vengono; alcuni hanno vita breve, mentre altri rimangono in giro per sempre (è il caso del GameBoy). Così, se siete del tutto all'oscuro circa il ruolo della NEC nel mercato console, eccovi la vostra lezione di storia.



Tutto ha inizio in Giappone il 30 ottobre 1987. NEC immette sul mercato la prima console a 16 bit, con il nome PC-Engine (che, si badi, non ha niente a che fare con i sistemi IBM/PC). Il sistema in sé è in anticipo sui tempi. La console si distingue per lo chassic di dimensioni ridotte, l'alimentazione fornita in bundle, e l'inusuale supporto in cui i giochi sono immagazzinati, le HuCard, schede per fattezze e dimensioni assimilabili ad una carta di credito. A due anni dal lancio, il PC-Engine domina il mercato giapponese, superando in vendite il Famicom (e più avanti anche il Mega Drive): è in quel momento che la NEC annuncia l'intenzione di portare la console in America.

Il 1° settembre 1989, la NEC lancia il TurboGrafx-16, la versione statunitense del PC-Engine. Quasi contemporaneamente, Sega immette sul mercato la propria console a 16 bit, il Genesis, che guadagna rapidamente terreno rispetto al TurboGrafx-16 grazie ad un lancio migliore, al maggiore supporto da parte terzi, e ad una mascotte più incisiva.

Nel 1990, la NEC lancia una nuova sfida alla concorrenza rilasciando il TurboExpress. Si tratta di una versione portatile del TurboGrafx-16 che usa le stesse cartucce impiegate dal sistema domestico, rendendolo di fatto uno dei pochi sistemi mai realizzati ad avere la medesima potenza e compatibilità software nella propria incarnazione portatile.

Subito dopo l'uscita del TurboExpress, la NEC fa di nuovo centro nell'industria videoludica con il rilascio del TurboGrafx-CD (la prima console con supporto CD della storia). Purtroppo, a causa della carenza di software di qualità e dell'esorbitante costo, il TurboGrafx-CD non riscuote alcun successo nel mercato statunitense.

Passando rapidamente al 1992, la situazione si è riassestata come segue. Il Sega Genesis ha guadagnato molto terreno rispetto al TurboGrafx e con l'imminente rilascio dell'upgrade per il supporto CD-ROM di Sega, l'invecchiamento Turbo si fa precoce. La NEC dà vita ad una nuova azienda denominata TTi (Turbo Technologies Inc.), nata dalla collaborazione di NEC e Hudson, con l'obiettivo di riprogettare il TG-16/CD fondendolo in un unico sistema. Il risultato è il TurboDuo. Il TurboDuo non solo unificava le precedenti piattaforme, ma godeva di una capacità di memoria superiore e di un prezzo più basso rispetto alla combinazione TG-16/CD.

TTi fa un'aggressiva campagna pubblicitaria del TurboDuo negli Stati Uniti, persino attaccando direttamente il Sega CD in alcuni degli annunci. Purtroppo, si trova leggermente in ritardo sui tempi, dacché il Genesis ha già conquistato la maggioranza dei giocatori, lasciando una fetta di mercato risicata al TurboDuo. Sul finire del 1993, il supporto di terzi parti per il TurboDuo viene completamente interrotto, mentre Genesis e SNES iniziano a darsi battaglia, lasciando il Turbo nella polvere.



Dopo che il supporto ufficiale del sistema da parte di TTi/NEC viene interrotto, la TTi chiude i battenti, e tutto ciò che rimane è il Turbo Zone Direct (TZD), che continua a sostenere le macchine ancora esistenti con il catalogo di giochi precedentemente pubblicati e l'assistenza tecnica.

Hail to the shumps

Titolo: Lords Of Thunder
Produttore: Sega
Sviluppatore: Hundson, Red
Sistema: Mega CD
Anno: 1995
Genere: Sparatutto a scorrimento multiplo








Doveva rappresentare la killer application per il Turbografx Duo, la versione americana del PC-Engine. Certamente fu un'uscita fondamentale per quel sistema, tant'è che nacque la tendenza ad indicare col titolo del gioco la console stessa. Eppure, il discreto successo di Lords Of Thunder non salvò la macchina NEC dall'oblio a cui era destinata in Occidente, a causa dello strapotere che in America la Nintendo da anni deteneva. A due anni dalla sua uscita originale, anche la sfortunata piattaforma Sega godette di una conversione. Il porting risulta di discreta caratura nel suo insieme [il gioco resta pressoché invariato], tuttavia, qualcosa è andato perso nel passaggio fra piattaforme. Rispetto alla versione PC-Engine, quella su console Sega manca della brillantezza dei colori dell'originale. E la colonna sonora, riarrangiata per l'occasione, seppure di buon livello, suona molto meno incisiva se confrontata con la sua prima versione per l'8 bit della NEC. In compenso, in questa edizione tornano la voce del narratore nella intro e quella della sensuale mercante nella schermata di acquisto dei power-up, inspiegabilmente assenti nella versione Turbografx Duo. Per un'approfondita analisi delle differenze che sussistono fra le varie versioni, vi rimando al sito PC-EngineFX.com. Al seguente indirizzo, trovate un confronto punto per punto, con tanto di schermate esplicative, corredate da didascalie:
http://www.pcenginefx.com/main/pcenginefx_com_-_feature_-_lor1.html


Lords Of Thunder immerge meccaniche da shoot 'em up classico in un'atmosfera fantasy, arricchendo la ricetta con una colonna sonora fra le più strepitose abbiano mai accompagnato un videogioco. Il comparto estetico vanta sprite nemici enormi, specie quelli dei boss di fine livello, alcuni impressionanti per mole e livello di dettaglio. Lo sprite del protagonista è piuttosto piccolo, e nel complesso, la fluidità dell'animazione non raggiunge vertici d'eccellenza, sebbene non manchino i tocchi di classe, come gli enormi serpentoni che traversano gli stage con selvaggia eleganza. Buono il numero dei colori, anche se i fondali non lasciano il segno, e vi si poteva forse riporre maggior cura. Ciò in cui il gioco eccelle è la velocità e la disinvoltura con cui il motore che sottende l'azione muove la gigantesca mole di oggetti che si agitano per lo schermo, senza palesare cedimento alcuno. Fra gli effetti speciali, meritano menzione le distorsioni a schermo intero.


L'azione di Lords Of Thunder è assai godibile, ed è facile rimanere irretiti dalla sua struttura, varia e ben congegnata. I nemici hanno pattern d'attacco definiti e dopo breve riconoscibili, perciò in ogni punto del gioco è fondamentale stabilire una priorità nell'attacco, da cui dipende la buona riuscita dell'azione. Superare vittoriosamente uno stage è una questione che, in buona misura, si decide ancor prima l'azione abbia inizio: ogni livello è preceduto dalla schermata di selezione dell'armatura. Ne esiste una per ogni elemento: acqua, fuoco, terra e vento. E' necessario essere ben attrezzati in funzione della natura delle entità avversarie, e ogni armatura fornisce uno schema d'attacco peculiare. Alcune prediligono la potenza di fuoco diretta e concentrata, altre la diffusione e la gittata, come da manuale dello shoot 'em up. Indossata l'armatura, segue la fase degli acquisti, in cui, disponendo di un sufficiente numero di cristalli, è possibile potenziare il livello d'attacco, quello di difesa, riempire la barra energetica e accumulare bombe. I cristalli sono la moneta di scambio in Lords Of Thunder, e si possono racimolare eliminando i nemici e grazie al bonus attribuito al giocatore una volta superato il boss di fine livello. L'importanza di tale fase preliminare è forse perfino eccessiva. Se si parte con il massimo livello d'attacco, la vittoria è pressoché assicurata; mentre è segnato il destino del giocatore che si cimenti nell'impresa dotato di scarsi potenziamenti. In sostanza, Lords Of Thunder è un'esperienza altamente customizzabile. Oltre ad armatura e power-up, il giocatore decide l'ordine dei livelli: chiaramente, alcuni sono più ostici degli altri, per cui, prima di partire all'attacco, è doveroso soffermarsi a riflettere adeguatamente nella fase antecedente l'azione. Tuttavia, la componente strategica del gioco è incrinata da quanto segue: l'efficacia dell'armatura non ha a che fare con la peculiarità degli elementi [ad esempio, l'armatura di fuoco non è più efficiente delle altre nel livello glaciale], e l'armatura di acqua risulta di fatto, in ogni contesto, quella più performante, divenendo così praticamente una scelta obbligata.


A livello Normal, Lords Of Thunder è fin troppo facile, specie rispetto ai canoni del genere all'epoca della sua uscita. Una volta afferrato il meccanismo dei potenziamenti e di approvvigionamento di attrezzatura bellica iniziale, superare i livelli diviene impresa di poco conto: anche il giocatore non eccessivamente smaliziato può riuscire a portare a termine l'intero gioco in meno di un paio d'ore, e fin dalla prima partita. Cambia il discorso selezionando un livello di difficoltà superiore. Settandolo a Super, Lords Of Thunder diviene un'esperienza pressoché inaccessibile al giocatore comune. Anche qui, un maggior equilibrio non avrebbe certo guastato.



Effetti sonori non proprio allo stato dell'arte tendono ad adombrare l'entusiasmante colonna sonora di stampo heavy metal, costituita da brani elettrizzanti ed impetuosi, capaci di arricchire notevolmente il coinvolgimento e far salire l'adrenalina. L'OST è forse l'aspetto migliore del gioco. Se ne consiglia l'ascolto al di fuori dell'esperienza ludica: anche in tale contesto, il comparto musicale rimane assolutamente godibile.

L'originalità della storia rasenta i minimi storici. Ma del resto, sua importanza nell'economia del gioco è pressoché nulla. Nonostante gli sviluppatori della Red abbiano un passato di una certa rilevanza nella realizzazione di giochi di ruolo - Tengai Makyou la loro opera più nota - la trama affonda nei più beceri cliché del genere fantasy. Sul piano narrativo, Lords Of Thunder si può descrivere come segue. Anticamente, un cavaliere di nome Drak sigillò il demone Deoric al di sotto dei 7 continenti - che sono anche i 7 stage del gioco - di cui il paese di Mistral è composto. Ma l'impero Garuda ha conquistato Mistral: obiettivo del loro leader, Sombul, è quello di riportare in vita Deoric e gettare Mistral nel caos. Tocca all'eroe del gioco, Duran, ultimo discendente di Drak, sconfiggere le armate di Garuda sfruttando la forza delle leggendarie armature di Drak, per ricondurre infine Mistral alla pace.

Sebbene il porting per Mega CD abbia perso parte della verve dell'originale, questa edizione Sega del gioco rimane un esponente di prim'ordine nel campo degli shoot 'em up, un'esperienza che non dovrebbe mancare nella carriera di ogni retrogamer che si rispetti.


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Mega CD version from Game Tronik.com




PC-Engine version from Rom Hustler

Download part 1





Download part 2



mercoledì 19 settembre 2007

Scimmiottando speculazioni isolane

Monkey Island 3 non esiste. O meglio. E' un figlio illegittimo. A quanto pare, l'ideatore della storica saga di avventure punta e clicca, Ron Gilbert, lasciò la LucasArts prima di mettere mano al terzo episodio, quello conclusivo e rivelatorio della serie. Perciò, il segreto di Monkey Island nessuno lo conosce e forse è meglio così, perché se di segreto si tratta, è giusto rimanga tale. Ecco una traduzione di una interessante discussione comparsa sul forum di http://www.adventuregamers.com/. Ringrazio il mio amico Elder per la segnalazione.



Onestamente non credo che il segreto di Monkey Island sia tutta questa meraviglia. Ecco come la vedo. Ron Gilbert aveva la possibilità di fare Monkey Island 3 ed invece ha scelto di lasciare la compagnia. Il fatto che sostenga di avere idee "top secret" per Monkey Island 3 e il fatto che le abbia tenute segrete per quindici anni quando la possibilità per lui di fare MI3 sono meno di zero, mi suggerisce che sia tutta una balla.
Non c'è mai stata una vera pianificazione della serie di MI. Lo so perché ho esaminato il rolling demo di MI2. All'interno del demo è elencato tutto, tutti gli oggetti dell'inventario, ogni stanza del gioco, persino alcune che furono tagliate per ragioni di spazio.... ma manca tutto ciò che riguarda il finale. Nessun tunnel sotterraneo. Nessuna mutanda di LeChuck o barba o teschio del padre di Guybrush. Nessun viaggio di ritorno nel vicolo di Melèe. In altre parole... nessuno aveva pianificato il finale. Monkey Island 2 frenava inchiodando al prompt del DOS nel momento in cui Guybrush scavava il buco su Dinky Island. Fondamentalmente ecco cosa accadde: il team di MI2 non aveva scritto un finale e mancavano tre mesi alla consegna. A questo punto erano nel panico, perché ci vuole del tempo per creare la grafica necessaria. Poi qualcuno disse: "Perché non riutilizziamo il finale che Ron aveva pensato per il primo gioco?"
E fu ciò che fecero. Il finale originale di MI1 vedeva un Guybrush ragazzino lasciare la Giostra dei Pirati dei Caraibi, dove aveva immaginato l'intero gioco. Ron adorava l'idea, Tim Schafer no e lo convinse a lasciarla perdere. Eppure Ron desiderava ancora ardentemente di riutilizzare l'idea nel sequel e suggerì la cosa in un'intervista del 1990 anteriore a MI2. Ovviamente il team di MI2 fu intelligente abbastanza da rendersi conto che un finale così avrebbe impedito altri sequel. Per questo piazzarono un' "uscita di emergenza" per creare ambiguità: gli occhi di Chuckie che lampeggiano di potere voodoo, Elaine che aspetta ancora Guybrush vicino al buco. In questo modo avrebbero potuto sostenere che il finale "è-stato-tutto-un-sogno" era in realtà un falso se ci fosse stata la necessità di creare un terzo MI.


Secondo la lista master delle rooms del demo, ci doveva essere originariamente una stanza chiamata "caverna" che connetteva la cascata di Phatt Island alla casa di Rum Rogers. La parola "caverna" implica una formazione naturale, con muri di pietra. Nel gioco finito la stanza fu tagliata e il passaggio tra Phatt Island e l'abitazione di Rum Rogers è una serie di sterili tunnel di metallo... proprio come quelli della sequenza finale. Suppongo che, una volta deciso il finale, il team decise di piazzare un po' di indizi per la "grande rivelazione" durante il gioco. Quindi eliminarono il passaggio naturale sotto Phatt Island e lo rimpiazzarono con un corridoio di metallo, proprio come quelli che gli impiegati di Disneyland usano per muoversi sotto le attrazioni.

Anche se ci fossero stati piani per fare un MI3 quando MI2 era in via di sviluppo (cosa improbabile), era sicuramente noto al team di MI2 che le chances per MI3 di vedere la luce erano a dir poco improbabili. Specialmente perché Ron Gilbert aveva fatto inequivocabilmente capire che voleva lasciare la compagnia. Ecco perché il finale di MI2 è così ambiguo. Funziona in due maniere: puoi credere che Guybrush sia un ragazzino (come Ron in origine intendeva) se vuoi, oppure puoi credere che non lo sia. In questo modo, se non fossero stati fatti sequel, era davvero un ragazzino in un parco a tema. Ma se ci fosse stato un MI3, gli sceneggiatori avrebbero potuto spiegare la cosa dicendo che si trattava solo di un incantesimo voodoo di LeChuck su Guybrush, come poi è successo.

Sarei sicuramente pronto a scommetere che Gilbert abbia idee per nuove gag e una storia per un potenziale futuro gioco di MI. Ma penso anche che sia colpevole di aver mostruosamente esagerato la portata delle idee che ha, e di averle celate invece di parlarne, nella vana speranza che un giorno possa fare un MI3. E' a lui che dovete dare la colpa per non essere mai venuti a conoscenza del segreto.

E da tutto ciò che ho sentito il ventilato segreto di Monkey Island alla fine si riduce tutto all'idea accarezzata da Ron, riassumibile in nove parole: Guybrush è un ragazzino in un parco a tema. Non riuscì ad usarla in MI1, fu fatta con poco entusiasmo in MI2, quindi immagino che se facesse un MI3 la riprenderebbe.

Ma Ron non inventò il finale di MI2 unicamente come cliffhanger per stuzzicare l'appetito in vista di un MI3. Originariamente, voleva usarlo come finale di MI1! Tim Schafer e Dave Grossman gli dissero che faceva pena e glielo fecero tagliare. Ma lui continuò ad amare l'idea abbastanza da volerla usare ancora.


Dobbiamo superare l'ossessione per il mito di Ron Gilbert. Che abbia delle idee per MI3, ok. Ma il segreto di Monkey Island è meno di quanto lui voglia far credere. E fu perché voleva lasciare la Lucasarts - annullando l'unica possibilità di fare quell'ultimo capitolo - che il team di MI2 creò un finale così assurdo. Non perché volevano prepararci ad una qualche scioccante rivelazione del vero segreto di Monkey Island raccontato da Ron Gilbert!

Il fatto che la questione possa essere così semplice penso sia la ragione primaria per la quale la maggior parte dei devoti di Ron non voglia crederci. Ma tutto ciò che ho sentito - da alcuni membri del team di CMI che l'avevano sentito a loro volta, dai cosceneggiatori Schafer e Grossman, persino da Ron Gilbert stesso prima che MI2 uscisse - suggerisce che l'idea accarezzata fosse questa.

P.S.: E comunque, in un cassetto della scrivania di Tim Schafer alla Double Fine c'è una copia di un documento di design per il Monkey Island 3 di qualcuno. Non so se sia di Ron (più probabilmente era di un qualche altro impiegato che voleva risuscitare la serie prima che Ackley e Ahern ricevessero il placet), ma sarebbe terribilmente interessante leggerlo.

P.S. 2: Non credo che Ron debba rispettare alcun NDA per MI3, dal momento che di questo sappiamo meno di niente, mentre abbiamo perlomeno qualche notizia di quasi ogni altra avventura Lucas cancellata, anche se si stratta solo di un nome o di un abbozzo di soggetto (il The Dig di Falstein, il The Dig di Moriarty, Indiana Jones and the Iron Phoenix,...), quindi, probabilmente, la realizzazione del terzo episodio conclusivo della saga non è mai stato discussa prima che Ron lasciasse l'azienda.

lunedì 17 settembre 2007

Sonic & Knuckles

Titolo: Sonic & Knuckles
Produttore: Sega
Sviluppatore: Sonic Team
Sistema: Mega Drive
Genere: Platform
Anno: 1994








Sonic & Knuckles rappresenta un po' il canto del cigno della serie, che mai più è ritornata ai fasti di questo episodio e dei precedenti classici a 16 bit. A partire dal lacunoso Sonic 3D Blast su Mega Drive, fino all'appena decente Sonic and the Secret Rings su Wii, il Sonic Team di Yuji Naka, un tempo salutato quale gruppo di talentuosi creativi dalle innegabili virtù, pare aver del tutto perduto lo smalto di allora, producendosi in realizzazioni che, nel migliore dei casi, raggiungono appena la sufficienza. Il personaggio ideato da Naka, sembra conservare ancora il suo charme. Nonostante la recente svolta stilistica, cool e cazzuta, sia piuttosto invisa agli utenti meno giovani, il fantasioso universo diegetico, costellato da personaggi ben caratterizzati, pare godere a tutt'oggi di un nutrito seguito di appassionati. Tuttavia, ciò in cui attualmente la serie profondamente difetta, è la classe e la cura realizzativa che in Sonic & Knuckles toccano probabilmente il proprio apice, assoluto ed irripetibile.

Gli elementi che avevano reso grandi i primi 3 episodi su Mega Drive, ricorrono qui in maniera estesa e sapiente. La formula ludica è tirata a lucido, palesando un'eleganza di game design raramente riscontrabile in qualunque altra opera digitale interattiva precedente [e successiva]. Torna l'uso creativo delle barriere - fuoco, acqua, elettricità - visto in Sonic 3, il cui impiego è cresciuto ulteriormente in importanza strategica, e la struttura degli stage, come di consueto fondata sulla oculata ed intricata disposizione dei più svariati marchingegni - molle, leve, tunnel energetici, piattaforme mobili, magneti, e quant'altro - raggiunge livelli di sofisticazione e stratificazione impensabili. Nella schermata iniziale, il gioco richiede di scegliere con quale personaggio affrontare l'avventura, Sonic o Knuckles. Il secondo possiede tutte le capacità del primo, inoltre è dotato della facoltà di scalare le pareti e planare a mezz'aria, anche se non può sfruttare i poteri speciali conferiti dalle barriere. La sua presenza è molto più che una variante estetica al riccio, difatti richiede un approccio al game play piuttosto differente, leggermente più riflessivo e maggiormente votato all'esplorazione. Nel complesso, è lui la migliore alternativa: può raggiungere luoghi inaccessibili allo spinoso antagonista/compagno, consente di pianificare meglio le azioni e sottopone a minori rischi; non è un caso se nel capitolo dedicato al Mega 32X, Sonic sia stato allegramente congedato. Ma forse è un bene, dacché quel gioco, Chaotix, è un benchmark deputato ad ostentare le capacità di scaling e rotazione dell'add-on piuttosto che un nuovo valido esponente della serie. Un'ottima occasione sprecata, certo, come del resto lo fu la piattaforma stessa. Ma ora non divaghiamo.

In ambito tecnico, il Sonic Team temeva ben pochi rivali - forse nessuno - per quanto riguarda lo sfruttamento massivo del hardware del 16 bit Sega, e Sonic & Knuckles ne è ulteriore - e definitiva - conferma. Il percorso stilistico e iconografico che il giocatore attraversa nel corso dell'avventura, è quello a cui il gruppo di Naka ci ha abituati fin dagli esordi della serie: naturalistico nei primi stage, ispirato all'architettura classica e/o di rovine nei passaggi intermedi, oscuro, acido, elettronico - in una parola: cyber-punk - nelle battute conclusive. Stupiscono, come sempre, le animazioni fluidissime degli enormi automi controllati dall'immancabile Robotnik al termine dei livelli, così come la cura maniacale riposta nella resa dei dettagli [il polline che si solleva e svolazza al passaggio del personaggio nella location iniziale] e negli effetti speciali [la distorsione della visuale nello stage ad ambientazione desertica]. Nel complesso, il comparto estetico gode di una pulizia, di una definizione, di un'eleganza e di una ricchezza di particolari senza pari all'interno della softeca della macchina Sega.


Memorabile anche in questo episodio, forse perfino più del solito, la colonna sonora, al consueto costituita da ritmi incalzanti e melodie ficcanti. Citazione d'onore merita il tema orientaleggiante dello stage ambientato in una piramide [Sandopolis Zone], una delle migliori composizioni mai fuoriuscite dal YM2612, lo storico chip audio del Mega Drive.

Il livello di difficoltà è piuttosto alto, per essere un episodio del porcospino blu; manca inoltre la funzione di salvataggio apprezzata nel terzo capitolo della serie [che, peraltro, era più breve di questo]. La possibilità di integrazione di Sonic & Knuckles con i tre precedenti episodi, grazie allo slot posto in cima alla cartuccia, garantisce l'accesso a livelli inediti, nuove modalità di gioco, e reintroduce Tails fra i personaggi adoperabili, estendendo ulteriormente nel tempo - virtualmente all'infinito - l'interesse verso un'opera la cui longevità ha già di per sé un valore considerevole. Merito soprattutto degli Special Stage. Solo scovarli all'interno dei livelli è un compito non esattamente semplice e si può affermare che il superare vittoriosamente questi sia la vera sfida del gioco. Del resto, portare a termine Sonic & Knuckles senza aver conquistato i Chaos Emerald, preclude al giocatore il finale vero e proprio, e in tal caso il gioco si conclude con una triste schermata nera in cui un Dottor Robotnik sghignazzante, ancora in possesso dell'enorme gemma verde, si fa beffe dell'imperizia del giocatore.


In sostanza, si tratta del capitolo definitivo della serie. Raccoglie gli spunti migliori della trilogia, fondendoli felicemente in una struttura ludica affinata all'inverosimile, attraverso un piano tecnico che non teme confronti su questa console. E' una attestazione del talento e della cura realizzativa che un tempo il Sonic Team profondeva nelle proprie opere, virtù che la squadra capeggiata da Yuki Naka, inspiegabilmente, pare aver lasciato in quella generazione. Insieme a Castelvania, ma ancor più di quello, Sonic è una delle storiche serie del passato fruibile con soddisfazione perfino ai nostri giorni, tuttavia incapace di ripetersi con altrettanto vigore ed efficacia assecondando i dettami delle tendenze attuali. Per fortuna, i nostri ricordi attraversano indenni le generazioni ludiche, considerando le goffe incursioni nel poligonale per quello che sono: mere operazioni di mercato, prive della passione che esplodeva da questi sprite, forse pixellosi e claudicanti, ma certamente amabili.


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