martedì 6 settembre 2011

Violenza per Gioco

Il videogioco veicola la violenza? È il luogo comune. Demonizzazione e autoflagellamento vittimistico. Oppure serpeggiante modello di marketing? Tutto ciò insieme, probabilmente. Tra gli immancabili schieramenti e battibecchi tra apocalittici e integrati, quest'ultimi individuano nel medium ludico una valvola di sfogo, per lo sgomento dell'uomo moderno, il quale può sublimare in un modello digitale tutta l'insoddisfazione per rapporti sociali angusti e angustianti. C'è chi somatizza il malessere vomitando il cibo della mensa nel cesso, pur di apparire impeccabile agli occhi dei consimili. C'è chi gioca ad FPS prima di compiere una strage in una scuola .
E se tutti fossero in errore? Sì, nella mia supponenza tutti sbagliano a voler adottare per forza una di queste prospettive.

Partiamo dal presupposto che il gioco sia arte - per una volta, a scanso di petitio principii. L'arte, banalmente, è uno specchio del proprio tempo. Nel bene e, in questo caso, nel male. Che senso ha proteggere virtualmente l'uomo dal male se il male è tutto intorno a noi? Il gioco, come l'arte, non ha colpe. Si limita a sviscerare il nostro inconscio collettivo. È forma estetica del nostro sentire, del nostro modo di concepire il mondo. È l'ordine necessario applicato alla grande P che guida l'universo. Che è la Paura. O è la Pigrizia? Non ricordo bene, una di queste due.




Ricapitolando, il gioco problematizza la violenza; e, in tal senso, non è mai gratuita, al contrario, ci da occasione di riflettere sul tempo in cui viviamo. È quasi scaturigine di straniamento brechtiano, ci consente di riappropriarci della nostra coscienza, sepolta dalle immagini e dall'informazione, tanto battente e reiterata da aver perso pregnanza e incisività - Al lupo! Al lupo!

Non è da escludere agire su un quadratino nero sanguinante ci colloca nella giusta dimensione per comprendere, intensivamente ed estensivamente, la proporzione di un dilemma sociale di cui forse ci sfuggono le implicazioni profonde. La sospensione dell'incredulità videoludica potrebbe sì astrarre il problema, ma una regia digitale sapientemente orchestrata e simbolicamente incentrata, ridesta l'attenzione e ferisce la consapevolezza brutalmente, in un processo di consustanzializzazione segno-referente forse preclusa ad altri ambiti espressivi (il segno ludico è indice, in tal senso, dacché latore di portato esperitivo ontologico).



Play Freedom Bridge


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